TIZIANO MANNONI

 

   LASCIARE QUALCOSA DI VERAMENTE ORIGINALE AI POSTERI    

 

 

 

 

 

                                                   

Non possiamo sapere quanto oggi non conosciamo di ciò che conser- viamo. Possiamo però sapere qualcosa di quanto è stato distrutto nel passato recente per conservare, ignorando le conoscenze attuali.

È assai comune che i particolari e le finiture delle forme, i colori e le superfici delle opere storiche, anche semplici, si presentino differenti da quelle eseguite con la stessa arte e con gli stessi materiali ora e in epo- che recenti. È ciò che spesso meraviglia, entrando in un vero contatto con questi lavori, senza premure e finalità preconcette: «si vede un’altra mano», «come lavoravano a quei tempi», «forse i materiali erano più buoni». Come si potrebbe fare per saperlo oggettivamente?

Non c’è indagine diagnostica che serva in questi casi. Gli strumenti presi in prestito dalle scienze sono stati scelti e tarati per ricavare dati ben precisi: la natura e la composizione dei materiali, e dei prodotti secondari dovuti ad alcune cause di degrado; le caratteristi- che fisiche e chimiche dei materiali che servono a stabilire i loro comportamenti in precisi ambienti. La sola natura dei materiali, se dovesse essere studiata in modo approfondito, richiederebbe ben altro di una, due o tre analisi.

L’ondata di coscienza pubblica sui problemi della complessità è ormai passata da un po’ di anni, e solo alcuni addetti alla conoscenza della natura, o solo una piccola parte di essi, continua ad avere rapporti con essa. Della complessità del mondo biologico è ri- masto un segno forte, probabimente anche perché ognuno la sperimenta quotidiana- mente, di quella fisica, invece, sono rimaste evidenti le complessità metereologiche e un po’ meno quelle delle coste frastagliate, ma forse nessuno pensa che non sia sufficiente u- na normale analisi chimica per stabilire se una calce per esempio sia buona o cattiva.

Non è così! Ed è un problema importante, perché molte opere del passato, anche fra le più importanti dal punto di vista estetico e dell’unicità della loro realizzazione, hanno strettamente a che fare con la calce. Quattordici anni fa, quando nel 4° Convegno Inter- nazionale di Scienze e Beni Culturali di Bressanone vennero messe in evidenza alcune in- congruenze sul comportamento delle calci magnesiache storiche, che si sono comporta- te molto al di sopra di quanto stabilito dalla manualistica attuale, forse a causa del cam- biato sistema di produzione del legante stesso, qualcuno ironizzò dicendo che forse si chiedeva di tornare a cuocere la calce con la legna. Fino ad allora, in realtà, le ricerche scientifiche sulla calce erano state principalmente condotte nell’Ottocento, quando si di- sponeva di strumenti conoscitivi elementari, dopodiché le aspettative che il sistema indu- striale ha riposto nel cemento hanno praticamente interrotto le indagini. Anche per la cal- ce vennero introdotti forni economicamente più convenienti per i tempi di cottura e le quantità trattate. Non era difficile pensare, d’altra parte, che se la calce era stata intro- dotta nelle costruzioni già nel I millennio avanti Cristo, mentre il cemento aveva dovuto aspettare le tecnologie della rivoluzione industriale per essere scoperto, si trattava eviden- temente di un materiale più semplice e perciò più facile da produrre, ma anche più li- mitato nelle sue prestazioni.

Nulla di più insensato. Antico non vuol dire automaticamente primitivo.

Più semplice: in questo caso forse vuol dire semplicemente «ottenibile con temperature più facilmente raggiungibili». Il sistema «ossido di calcio-anidride carbonica-acqua», nelle attuali ricerche, si sta in effetti dimostrando complesso in tutte le sue fasi. A richiamare la attenzione sulle qualità della calce sono state però le opere del passato non trattate con materiali moderni: la superficie in molte zone ancora vellutata di una facciata del Quat- trocento o del Cinquecento; le opere portuali romane e medievali che hanno resistito meglio di quelle cementizie.

Dopo dieci anni di ricerche scientifiche che si sono allargate dalle scienze della terra alla chimica industriale ed all’ingegneria dei materiali, con l’istituzione di un dottorato di ricer- ca sulla calce, si è giunti a conoscere i meccanismi per i quali i forni antichi producevano una calce magnesiaca di ottima qualità. Questo permetterà ora di ottenere il prodotto migliore con qualsiasi tipo di forno e di combustibile, controllando, oltre alla temperatu- ra, la quantità di anidride carbonica e di gas d’acqua presenti nel forno stesso. Ma diver- si e molti sono ancora gli altri problemi della calce in attesa di una spiegazione scientica; per esempio: i veri meccanismi dello spegnimento, della messa in opera e della presa; i comportamenti anomali, sulla base della manualistica attuale, della calce con il gesso, con l’argilla cruda e con quella cotta.

Non sarebbe stato possibile presentare questo caso della calce pochi anni addietro, ed è perciò un campanello d’allarme. Oltre a non sapere quanti altri casi di questo genere e- sistono ancora sconosciuti, non sappiamo neppure cosa interesserà conoscere del passa- to alle generazioni future: resterà prevalente l’aspetto puramente formale di stampo i- dealistico, oppure verranno cercati, letti e goduti anche altri parametri oggi obsoleti? Ma è certo che soltanto le opere veramente originali ci possono trasmettere delle informazio- ni non visibili ad occhio nudo, o visibili solo in certi loro effetti, e mai scritte da nessuna parte, perché frutto di conoscenze pratiche acquisite e trasmesse oralmente per molte generazioni e forse di tentativi di eliminazione degli errori, e scomparse con l’ultimo mae- stro che non ha avuto allievi. Informazioni che possono però aprire la strada alle spiega- zioni causali di meccanismi peculiari sconosciuti finora alla scienza, che possono essere fondamentali anche per una migliore conservazione, ma che potrebbero avere anche ri- cadute sulla qualità della vita attuale e futura, come si pensa possa accadere con la cot- tura della calce magnesiaca.

Non ci vuol molto a capire che qualsiasi azione materiale condotta sulle opere storiche, anche se fatta con la migliore delle intenzioni, rischia di mascherare, alterare o distrugge- re informazioni a noi ignote, che fanno comunque parte essenziale dell’originale. È molto importante esserne coscienti e sapere quali sono i nostri limiti, oltre alle nostre possibilità. Di fronte ad opere che sono a rischio di perdita reale per cause evidenti, si deve decidere in tempi brevi l’intervento più in grado di fermare il degrado effettivo, sapendo che co- munque in un domani verrà scoperto cosa abbiamo distrutto per conservare. Qualsiasi in- tervento in opere non a rischio, solo per riportarle formalmente a quello che pensiamo oggi fosse lo stato originale, è veramente pericoloso e inutile ai fini di una vera conserva- zione. Sarebbe invece utile che si cominciasse a compilare un elenco delle opere che non hanno mai subito trattamenti per vietarne qualsiasi manomissione.

 

                                                         

                      

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                     

A sinistra: Malta originale di calce magnesiaca e caolino cotto del ponte del Pedaggio del Porto Antico di Genova (secolo XV).

A destra: Decorazione originale di calce magnesiaca e gesso del palazzo Lomellino a Genova (metà del secolo XVI).

 

 

       

 

Fornace preindustriale, con casa dei fornaciai, per la cottura di calcare dolomitico, di   Sestri Ponente, Genova (secolo XVIII).

 

 

      

 

                    Esperimento di produzione di grassello di calce magnesiaca