Non possiamo sapere
quanto oggi non conosciamo di ciò che conser- viamo.
Possiamo però sapere qualcosa di quanto è stato
distrutto nel passato recente per conservare, ignorando
le conoscenze attuali.
È assai comune che
i particolari e le finiture delle forme, i colori e le
superfici delle opere storiche, anche semplici, si
presentino differenti da quelle eseguite con la stessa
arte e con gli stessi materiali ora e in epo- che
recenti. È ciò che spesso meraviglia, entrando in un
vero contatto con questi lavori, senza premure e
finalità preconcette: «si
vede un’altra mano»,
«come
lavoravano a quei tempi»,
«forse
i materiali erano più buoni».
Come si potrebbe fare per saperlo oggettivamente?
Non c’è indagine
diagnostica che serva in questi casi. Gli strumenti
presi in prestito dalle scienze sono stati scelti e
tarati per ricavare dati ben precisi: la natura e la
composizione dei materiali, e dei prodotti secondari
dovuti ad alcune cause di degrado; le caratteristi- che
fisiche e chimiche dei materiali che servono a stabilire
i loro comportamenti in precisi ambienti. La sola natura
dei materiali, se dovesse essere studiata in modo
approfondito, richiederebbe ben altro di una, due o tre
analisi.
L’ondata di
coscienza pubblica sui problemi della complessità è
ormai passata da un po’ di anni, e solo alcuni addetti
alla conoscenza della natura, o solo una piccola parte
di essi, continua ad avere rapporti con essa. Della
complessità del mondo biologico è ri- masto un segno
forte, probabimente anche perché ognuno la sperimenta
quotidiana- mente, di quella fisica, invece, sono
rimaste evidenti le complessità metereologiche e un po’
meno quelle delle coste frastagliate, ma forse nessuno
pensa che non sia sufficiente u- na normale analisi
chimica per stabilire se una calce per esempio sia buona
o cattiva.
Non è così! Ed è un
problema importante, perché molte opere del passato,
anche fra le più importanti dal punto di vista estetico
e dell’unicità della loro realizzazione, hanno
strettamente a che fare con la calce. Quattordici anni
fa, quando nel 4° Convegno Inter- nazionale di Scienze e
Beni Culturali di Bressanone vennero messe in evidenza
alcune in- congruenze sul comportamento delle calci
magnesiache storiche, che si sono comporta- te molto al
di sopra di quanto stabilito dalla manualistica attuale,
forse a causa del cam- biato sistema di produzione del
legante stesso, qualcuno ironizzò dicendo che forse si
chiedeva di tornare a cuocere la calce con la legna.
Fino ad allora, in realtà, le ricerche scientifiche
sulla calce erano state principalmente condotte
nell’Ottocento, quando si di- sponeva di strumenti
conoscitivi elementari, dopodiché le aspettative che il
sistema indu- striale ha riposto nel cemento hanno
praticamente interrotto le indagini. Anche per la cal-
ce vennero introdotti forni economicamente più
convenienti per i tempi di cottura e le quantità
trattate. Non era difficile pensare, d’altra parte, che
se la calce era stata intro- dotta nelle costruzioni già
nel I millennio avanti Cristo, mentre il cemento aveva
dovuto aspettare le tecnologie della rivoluzione
industriale per essere scoperto, si trattava eviden-
temente di un materiale più semplice e perciò più facile
da produrre, ma anche più li- mitato nelle sue
prestazioni.
Nulla di più
insensato. Antico non vuol dire automaticamente
primitivo.
Più semplice: in
questo caso forse vuol dire semplicemente
«ottenibile
con temperature più facilmente raggiungibili».
Il sistema «ossido
di calcio-anidride carbonica-acqua»,
nelle attuali ricerche, si sta in effetti dimostrando
complesso in tutte le sue fasi. A richiamare la
attenzione sulle qualità della calce sono state però le
opere del passato non trattate con materiali moderni: la
superficie in molte zone ancora vellutata di una
facciata del Quat- trocento o del Cinquecento; le opere
portuali romane e medievali che hanno resistito meglio
di quelle cementizie.
Dopo dieci anni di
ricerche scientifiche che si sono allargate dalle
scienze della terra alla chimica industriale ed
all’ingegneria dei materiali, con l’istituzione di un
dottorato di ricer- ca sulla calce, si è giunti a
conoscere i meccanismi per i quali i forni antichi
producevano una calce magnesiaca di ottima qualità.
Questo permetterà ora di ottenere il prodotto migliore
con qualsiasi tipo di forno e di combustibile,
controllando, oltre alla temperatu- ra, la quantità di
anidride carbonica e di gas d’acqua presenti nel forno
stesso. Ma diver- si e molti sono ancora gli altri
problemi della calce in attesa di una spiegazione
scientica; per esempio: i veri meccanismi dello
spegnimento, della messa in opera e della presa; i
comportamenti anomali, sulla base della manualistica
attuale, della calce con il gesso, con l’argilla cruda e
con quella cotta.
Non sarebbe stato
possibile presentare questo caso della calce pochi anni
addietro, ed è perciò un campanello d’allarme. Oltre a
non sapere quanti altri casi di questo genere e- sistono
ancora sconosciuti, non sappiamo neppure cosa
interesserà conoscere del passa- to alle generazioni
future: resterà prevalente l’aspetto puramente formale
di stampo i- dealistico, oppure verranno cercati, letti
e goduti anche altri parametri oggi obsoleti? Ma è certo
che soltanto le opere veramente originali ci possono
trasmettere delle informazio- ni non visibili ad occhio
nudo, o visibili solo in certi loro effetti, e mai
scritte da nessuna parte, perché frutto di conoscenze
pratiche acquisite e trasmesse oralmente per molte
generazioni e forse di tentativi di eliminazione degli
errori, e scomparse con l’ultimo mae- stro che non ha
avuto allievi. Informazioni che possono però aprire la
strada alle spiega- zioni causali di meccanismi
peculiari sconosciuti finora alla scienza, che possono
essere fondamentali anche per una migliore
conservazione, ma che potrebbero avere anche ri- cadute
sulla qualità della vita attuale e futura, come si pensa
possa accadere con la cot- tura della calce magnesiaca.
Non ci vuol molto a
capire che qualsiasi azione materiale condotta sulle
opere storiche, anche se fatta con la migliore delle
intenzioni, rischia di mascherare, alterare o distrugge-
re informazioni a noi ignote, che fanno comunque parte
essenziale dell’originale. È molto importante esserne
coscienti e sapere quali sono i nostri limiti, oltre
alle nostre possibilità. Di fronte ad opere che sono a
rischio di perdita reale per cause evidenti, si deve
decidere in tempi brevi l’intervento più in grado di
fermare il degrado effettivo, sapendo che co- munque in
un domani verrà scoperto cosa abbiamo distrutto per
conservare. Qualsiasi in- tervento in opere non a
rischio, solo per riportarle formalmente a quello che
pensiamo oggi fosse lo stato originale, è veramente
pericoloso e inutile ai fini di una vera conserva- zione.
Sarebbe invece utile che si cominciasse a compilare un
elenco delle opere che non hanno mai subito trattamenti
per vietarne qualsiasi manomissione.
A sinistra:
Malta originale di calce magnesiaca e caolino cotto del
ponte del Pedaggio del Porto Antico di Genova (secolo XV).
A destra:
Decorazione
originale di calce magnesiaca e gesso del palazzo
Lomellino a Genova (metà del secolo XVI).
Fornace
preindustriale, con casa dei fornaciai, per la cottura
di calcare dolomitico, di Sestri Ponente,
Genova (secolo XVIII).
Esperimento di produzione di grassello di calce
magnesiaca
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