Ogni costruzione esiste per un tempo finito. Tale tempo
è determi- nato dalla vita fisiologica della materia e
da una serie di eventi che interessano il manufatto e
l’ambiente in cui è inserito, di origine naturale
(sisma, vento, inondazioni, fulmini) o antropica
(trasforma- zioni, variazioni d’uso, interazione con
nuovi manufatti o infrastrut- ture).
La scala del tempo per le costruzioni storiche non coincide con quella
della vita umana; essa è più grande, coinvolge
generazioni, attraversa società e culture. Gli uomini
del pre- sente ricevono in consegna un patrimonio
costruito con un passato spesso oscuro ed un futuro
ignoto.
Le incertezze del futuro, ovvero la nostra scarsa capacità di conoscere
il progredire del degrado, valutare l’effetto delle
trasformazioni e prevedere gli eventi naturali rari ed
im- provvisi, rendono problematica la stima della vita
residua di un manufatto. La cultura contemporanea è
caratterizzata dalla presunzione di sconfiggere il
tempo, cercando di fermarlo (con interventi strenuamente
conservativi) o costruendo un’eternità effimera (con
interventi invasivi e tecnocratici). L’attenzione per la
sicurezza, erroneamente intesa come antitesi
all’incertezza, ha complessivamente danneggiato il
costruito e rappresenta ancora oggi uno dei principali
fattori di rischio per la preservazione strutturale.
È forse utile chiarire il significato dei termini che stiamo usando,
secondo la teoria mate- matica delle probabilità.
Rischio
è la probabilità che avvenga un certo evento dannoso in
un fissato intervallo temporale (ad esempio: la
probabilità che una costruzione crolli a seguito del
terremoto atteso in quell’area nei prossimi 100 anni).
Sicurezza
è la probabilità
che questo evento non si verifichi (rischio e sicurezza
sono quindi correlatati: se esiste un ri- schio del 1%,
ciò significa che il manufatto è sicuro al 99%). La
valutazione quantitativa del rischio (o della sicurezza)
è affetta da molte
incertezze,
legate all’imperfetta conoscen- za delle resistenze dei
materiali, delle azioni attese, dei modelli matematici
con i quali vie- ne simulato il comportamento
strutturale; ridurre le incertezze, ovvero migliorare la
cono- scenza, porta semplicemente ad una stima più
precisa della sicurezza, che però non potrà mai essere
assoluta, per sua stessa definizione.
Emerge quindi che quando viene progettato un intervento di consolidamento
su una costruzione esistente, così come quando si
realizza una nuova struttura, le verifiche di si-
curezza che si eseguono sono convenzionali, nel senso
che si decide di accettare un mag- giore o minore
rischio. Per una nuova costruzione il costo e la
funzione sono alla base del- la scelta del livello di
sicurezza da attribuire: ad esempio, un ospedale o un
impianto in- dustriale sono progettati in modo tale da
avere una probabilità di collasso minore rispet- to a
quella di un edifico ordinario, il tutto ad un costo
sostenibile per la società. Per una costruzione storica
la questione è molto più complessa, in quanto: è
difficile definirne il valore, gli interventi di
consolidamento sono spesso a scapito della
conservazione, le in- certezze sulla loro efficacia e
sui modelli di calcolo sono elevate.
L’impegno per la preservazione del costruito storico non può prescindere
dalla continui- tà del tempo, in quanto preservazione
strutturale significa prendersi cura di un manufatto,
individuarne il funzionamento strutturale (ovvero il
ruolo dei diversi elementi nel sostenere i pesi e le
altre azioni), comprenderne l’evoluzione (attraverso
un’attenta lettura di even- tuali sintomi di dissesto),
valutare la sua capacità a sopportare gli eventi
naturali (nella consapevolezza che la severità di questi
ultimi non è facilmente stimabile).
La conoscenza della storia passata, la comprensione del presente
transitorio, l'attenzio- ne all’evolversi dei fenomeni
(nella coscienza di un futuro finito), sono i più
potenti ed effi- caci strumenti per la cura delle
costruzioni.
La preservazione di un manufatto storico deve quindi fondarsi: 1) sulla
diagnosi, che de- finisce un tempo “zero” di riferimento
per tutte le successive azioni; 2) sul monitoraggio
continuo, che consente di cogliere le variazioni nel
tempo; 3) sulla gestione della manu- tenzione ed il
controllo degli eventi (rischi naturali, esigenze
funzionali) ed interventi (tra- sformazioni,
riparazioni, rinforzi).
La diagnosi deve portare alla valutazione della sicurezza “attuale” della
costruzione, at- traverso la comprensione del
comportamento strutturale e l’individuazione dei suoi
ele- menti di debolezza. Elementi della diagnosi sono il
rilievo critico, la sperimentazione sui materiali e gli
elementi architettonici, le simulazioni strutturali,
l’interpretazione dei quadri fessurativi e deformativi;
a tal fine, oggi sono disponibili strumenti molto
avanzati: le tec- niche diagnostiche non distruttive
(per il rilievo stratigrafico e tecnologico, per le
proprie-tà meccaniche dei materiali); la modellazione
numerica per l’analisi strutturale. Inoltre, la storia
della costruzione può fornire preziose informazioni, sia
perché rappresenta un colla- udo della sicurezza
relativamente ad un fissato periodo di tempo, sia in
quanto permette di conoscere i traumi e le
trasformazioni che essa ha subito, e quindi le sue
eventuali fragi- lità pregresse.
Nell’ottica della continuità temporale proposta, è necessario
individuare, attraverso la diagnosi, un protocollo per
il controllo delle future variazioni del manufatto;
l’insieme di tali procedure definisce il monitoraggio
strutturale. Esso consiste nell’osservazione quali-
tativa di alcuni aspetti ritenuti fondamentali per la
valutazione della sicurezza e nel con- trollo periodico
di un insieme di parametri misurabili, con l’obbiettivo
di prevedere, in un tempo ragionevolmente utile, i
dissesti. Il giudizio qualitativo deve evidenziare i
cambia- menti occorsi nella costruzione, relativamente
al degrado della materia ed ai sintomi di dissesto; in
presenza di questi ultimi è necessario attualizzare la
diagnosi e definire ulteriori parametri da controllare
quantitativamente. I parametri che possono essere
individuati per il monitoraggio strumentale sono di due
tipi: grandezze statiche (spostamenti, inclina- zioni,
apertura di lesioni, ...) e grandezze dinamiche
(frequenze proprie, forme modali di vibrazione). Queste
ultime rappresentano sinteticamente il sistema
strutturale e le caratte- ristiche meccaniche dei
materiali, e quindi costituiscono una vera e propria
impronta digi- tale della costruzione (impronta
dinamica).
Il controllo periodico dell’impronta dinamica
rappresenta un ausilio al monitoraggio visivo, in quanto
segnala l’inizio di un dissesto od un significativo
degrado nelle proprietà dei materiali, spesso prima che
questo sia eviden- te. Si ritiene infine opportuno
includere nel monitoraggio anche una continua attenzione
alle trasformazioni che l’ambiente circostante subisce
(opere sui terreni, realizzazione infra- strutture, uso
del territorio).
La gestione della manutenzione ed il controllo degli eventi ed interventi
rappresentano il punto critico della preservazione
strutturale, in quanto implicano necessariamente
un'a-zione diretta sul manufatto. È quindi
indispensabile definire chiaramente le finalità della
preservazione strutturale, avendo la consapevolezza che
il nostro agire si inserisce in una finestra temporale
breve rispetto alla vita del manufatto; termini come
conservazione, reversibilità rappresentano princìpi che,
se assunti quali dogmi, comportano come unica soluzione
il non agire, osservando la naturale evoluzione del
manufatto. Molto più realisti- camente la preservazione
strutturale si pone come obbiettivo il “mantenimento in
vita” di un manufatto che ci è stato consegnato, avendo
cura di rallentare il decadimento della materia, se
realmente necessario, e di verificare periodicamente la
compatibilità della costruzione alle trasformazioni
dell’ambiente e della società. Tale compatibilità si
realizza quando è possibile affidarsi alle potenzialità
della struttura originale, o nei casi in cui siano
sufficienti modeste integrazioni del sistema con nuovi
elementi. Sono invece da evitarsi le trasformazioni
radicali del sistema strutturale, avendo sperimentato
più volte il fallimento di questo modo di operare.
In questo
ambito, la manutenzione è un intervento di base in
quanto il collaudo della storia ci dimostra l’idoneità
statica della costruzione se mantenuta in certe
condizioni. Tut- tavia è necessario avere la
consapevolezza che la manutenzione non è uno strumento
di mera conservazione, anche se il prezzo che si paga è
generalmente accettabile. Si sottoli- nea come il
monitoraggio consenta di ridurre al minimo la
manutenzione, poiché consen- te di valutare il reale
impatto del degrado sulla funzionalità statica della
costruzione e, quindi, la sua effettiva necessità.
La riparazione è un intervento che si realizza in seguito ad eventi
traumatici che hanno danneggiato il manufatto; questi
possono essere di varia natura: catastrofi naturali (si-
sma, vento, inondazioni, …); dissesto idrogeologico
(variazioni del livello di falda, movi- menti di pendio,
…); uso improprio od interventi abusivi sul manufatto;
interventi in adia- cenza. In alcuni casi tali eventi
sono chiaramente identificabili, in altri essi emergono
a valle dell’individuazione del dissesto, possibile
attraverso la lettura ed interpretazione dei sintomi. È
importante sottolineare che un dissesto si verifica in
presenza di una causa sca- tenante, a parte rarissimi
casi nei quali è il naturale decadimento della materia a
far so- praggiungere condizioni di instabilità (troppo
spesso, invece, i dissesti sono genericamen- te
attribuiti alla vetustà); nel manufatto potranno essere
eventualmente individuate cau- se predisponenti, ovvero
debolezze intrinseche che lo rendono più vulnerabile ad
una da- ta azione. La riparazione consiste quindi in un
intervento che mira a ripristinare le condi- zioni
precedenti al danno, per le quali era noto il buon
funzionamento strutturale; ovvia- mente la riparazione
dei danni deve essere associata alla eliminazione del
perdurare della causa scatenante (stabilizzazione del
pendio, corretto uso, …). Nel caso invece che risulti
prevedibile il ripetersi dell’evento traumatico, alla
riparazione dovrà essere associato un intervento di
rinforzo, mirato alla limitazione delle cause
predisponenti. Ovviamente il rin- forzo sarà ammissibile
quando si individui la possibilità di realizzarlo con
tecniche poco in- vasive e rispettose del sistema
strutturale originale; esso fornirà una maggiore
sicurezza al fabbricato, rispetto alle condizioni
precedenti il dissesto.
Il monitoraggio preserva la costruzione da alcuni eventi traumatici
(fenomeni ad evolu- zione lenta), in quanto consente di
affrontare la situazione già alla comparsa dei primi
sin- tomi, quando il danno è molto limitato o neppure
apprezzabile; in questi casi non è ne- cessaria la
riparazione e si può agire esternamente, rimuovendo le
cause scatenanti, o sul manufatto, con un rinforzo
preventivo. Diversa è la situazione nel caso di eventi
improvvi- si, quali le catastrofi naturali. In questi
casi è particolarmente importante un’appropriata
conoscenza della pericolosità del territorio, al fine di
procedere ad un rinforzo preventivo che sia commisurato
al rischio. Nel caso del terremoto, probabilmente la
maggiore fonte di rischio per il patrimonio culturale
italiano, questa filosofia di intervento è denominata
miglioramento sismico,
termine che esprime l’incertezza nella definizione
dell’intensità del sisma atteso e l’impossibilità di
eliminare la danneggiabilità di una costruzione storica
in muratura nei riguardi di questa azione. Le
costruzioni antiche sono infatti concepite per
sopportare azioni verticali prevalenti, attraverso un
materiale, la muratura, che sopporta bene le
sollecitazioni di compressione ma si fessura in presenza
di stati di trazione; alcune tecniche (incatenamenti,
cerchiature, contrafforti) possono migliorare il
funzionamento si- smico, prevenendo dai collassi e
limitando in misura significativa i danni. Nelle aree a
maggior rischio sismico, soluzioni di questo tipo sono
riscontrabili nella configurazione ori- ginaria del
manufatto, a testimonianza che la frequenza del
terremoto portava a consi- derare tale azione già in
ottica preventiva, attraverso opportune regole
dell’arte.
Un ultimo importate aspetto nella gestione degli interventi è quello
connesso al progetto di riuso del manufatto, che deve
essere trattato come un vero e proprio evento. Chiara-
mente il mantenimento dell’uso originale del manufatto,
nell’ottica della continuità tem- porale del
monitoraggio, costituisce una garanzia per la sicurezza.
Tuttavia è importante considerare che il mantenimento di
una costruzione attraverso società e culture diverse si
concretizza anche attraverso un continuo uso. La
preservazione strutturale deve quindi e- seguire un
controllo, porre delle limitazioni ma anche proporre
soluzioni. Una prima possi- bilità è quella della
verifica di idoneità del sistema strutturale originario
ai nuovi carichi o configurazioni (eventualmente con un
limitato e compatibile uso di elementi strutturali di
rinforzo); in questo senso i moderni strumenti di
calcolo strutturale possono fornire valuta- zioni più
accurate, mentre il monitoraggio può costituire un
efficace collaudo permanen- te delle soluzioni adottate.
In alternativa, piuttosto che agire sul sistema
strutturale origi- nale, modificandolo nella sua
essenza, è preferibile assegnare alcune delle funzioni
por- tanti a nuove strutture (anche di moderna
concezione), lasciando alla costruzione antica un
insieme di azioni compatibili.
Per conseguire le finalità della preservazione strutturale, sono
disponibili diverse tipologie di intervento, che possono
essere utilmente classificate in: 1) interventi
tradizionali; 2) inter- venti moderni; 3) interventi con
materiali e tecnologie innovative.
Al primo gruppo appartengono soluzioni che si riscontrano nel costruito,
frutto di una consolidata arte la cui efficacia e
compatibilità è stata collaudata nei secoli: incatena-
menti metallici, cerchiature, contrafforti, risarciture
murarie. Gli interventi tradizionali, tal- volta
definiti pre-moderni, erano mirati a fornire stabilità
alla costruzione, preservandola dai collassi ma
accettando la sua danneggiabilità in occasione di eventi
particolarmente gravosi.
Gli interventi moderni sono quelli che si sono progressivamente
affermati, a partire dall'i- nizio del XX secolo, con
l’avvento delle nuove strutture in cemento armato;
l’entusiasmo verso questo nuovo materiale, unitamente
all’adozione del calcolo e delle verifiche strut- turali
come base del progetto, ha portato alla realizzazione di
nuove strutture, saldamen- te connesse alla costruzione
esistente, nell’intento di sgravare e sostenere quest’ultima.
Il cemento armato veniva utilizzato per qualsiasi
elemento, anche quando altri materiali sarebbero stati
chiaramente preferibili (puntellature in c.a. anziché in
legno, dove le esi- genze primarie sono l’immediata
operatività e la facilità di smontaggio; cordoli in c.a.
in- seriti con la sola funzione di incatenamento).
Recentemente l’uso del c.a. nel costruito storico si è
ulteriormente diffuso, impoverendosi peraltro di
motivazioni strutturali: solai e coperture lignee
vengono sostituite con orizzontamenti in c.a., senza che
sia chiaro il van- taggio per la costruzione; intonaci
armati nelle pareti murarie e cappe armate sulle volte
occultano l’antica struttura, senza che vengano prodotti
calcoli che dimostrino l'inade- guatezza della struttura
originaria ed il miglioramento prodotto con tale
rinforzo. Gli e- venti naturali, come il terremoto, o
semplicemente il tempo hanno spesso dimostrato il
fallimento di questi interventi.
L’approccio che ispira l’uso di materiali e tecnologie innovative si
riavvicina all'interven- to tradizionale: l’intervento
si affianca alla costruzione, che conserva la sua
funzione strut- turale, al fine di eliminare (o meglio
ridurre) le vulnerabilità specifiche. Gli interventi
sono in genere ispirati dai concetti di reversibilità e
durabilità; inoltre i materiali sono utilizzati in
quantità limitate, evitando i notevoli incrementi di
peso caratteristici delle tecniche mo-derne. Per quanto
riguarda i materiali si ricordano il titanio, le fibre
di carbonio (e altri ma- teriali compositi) e le leghe a
memoria di forma; esistono tecnologie che riducono le
azio- ni, come l’isolamento sismico o il controllo
attivo. Purtroppo l’applicazione nella maggior parte dei
casi reali non è corretta: si adottano nuove tecniche,
prima che sia stata svolta un’adeguata sperimentazione;
l’uso è generalizzato e non limitato alle situazioni in
cui è veramente necessario.
Appare evidente, per quanto appena detto, che per la preservazione
strutturale sono consigliabili gli interventi
tradizionali, come soluzione compatibile ed in
continuità con il tempo e la storia del manufatto.
Soluzioni altamente tecnologiche (materiali,
dispositivi) possono tuttavia essere utili, specie
quando il progetto di riuso richiede prestazioni parti-
colarmente gravose o quando il valore di alcuni elementi
(ad esempio apparati decorati- vi fissi) rende
prioritaria la riduzione del rischio di danneggiabilità.
La forte critica verso gli interventi moderni non deve
essere intesa come demonizzazione di un materiale, ma
solo come disaccordo verso un certo modo di intendere il
rinforzo; non si esclude quindi che il cemento armato
possa essere usato in alcuni elementi, verificata la
compatibilità chimi- co-fisica con l’esistente
(sottofondazioni, architravi, ricostruzioni parziali).
Recentemente si sta diffondendo l’uso dei
codici di
pratica,
manuali nei quali l’uso delle tecniche di riparazione e
rinforzo è esemplificato nei diversi elementi
costruttivi; in genere tali manuali vengono sviluppati
con riferimento ad uno specifico contesto (una città,
una regione caratterizzata da un costruito
sufficientemente omogeneo), al fine di una mag- gior
chiarezza e applicabilità. Anche se le finalità di
questi documenti sono in linea di prin- cipio
condivisibili, non va sottovalutato il rischio che essi
risultino una sorta di ricettario dove trovare la
soluzione da applicarsi acriticamente in ogni
situazione; l’impatto potreb- be essere quello di
giustificare, ancora una volta, interventi generalizzati
e non giustificati. Un’altra prassi diffusa è quella di
un approccio eccessivamente ingegneristico, nel senso di
dare ampio sfogo all’ingegno; alcuni interventi, specie
quelli sulle costruzioni monumen- tali di maggiore
rilievo, sembrano ispirati dalla volontà di stupire a
tutti i costi con solu- zioni speciali.
La preservazione strutturale richiede, invece, di affrontare il problema
con competenza, metodo e modestia, provando
soddisfazione quando si riesce a dimostrare che non è
ne- cessario alcun intervento ma essendo pronti ad
individuare la soluzione senza pregiudizi. La
collocazione di tali interventi all’interno di
un’osservazione continua nel tempo garan- tisce,
indipendentemente dalle modalità realizzative, che essi
non risultino arbitrari o in- giustificati. Inoltre, ciò
può portare ad una migliore conoscenza della
costruzione, e quin- di ad interventi ragionati e
verificabili nella loro efficacia. Il monitoraggio,
acquisisce, pertanto, un valore fondamentale per la
preservazione, in quanto risulta non solo essere
strumento di previsione e prevenzione, ma anche
strumento di controllo degli interventi e di limitazione
delle arbitrarietà.
Nel seguito vengono mostrati alcuni casi esemplificativi dell’operare in
accordo o in contrasto con i princìpi della
preservazione strutturale. Ciascun esempio viene
introdotto quale spunto per considerazioni di carattere
generale. La casistica non ha valore esausti- vo, specie
con riferimento ai buoni interventi, in quanto spesso
questi sono difficilmente rappresentabili con immagini
(per la loro coerenza con la struttura originale). Non
va infi- ne dimenticato che la soluzione preferibile per
la preservazione è il monitoraggio, che spesso può
evitare l’adozione di un qualsiasi intervento.
segue →
|