SERGIO LAGOMARSINO, CHIARA CALDERINI, STEFANO PODESTA'

 

                       IL TEMPO COME STRUMENTO PER LA PRESERVAZIONE

                                                 STRUTTURALE DEL COSTRUITO STORICO 

 

 

 

 


 

  Ogni costruzione esiste per un tempo finito. Tale tempo è determi- nato dalla vita fisiologica della materia e da una serie di eventi che interessano il manufatto e l’ambiente in cui è inserito, di origine naturale (sisma, vento, inondazioni, fulmini) o antropica (trasforma- zioni, variazioni d’uso, interazione con nuovi manufatti o infrastrut- ture).


  La scala del tempo per le costruzioni storiche non coincide con quella della vita umana; essa è più grande, coinvolge generazioni, attraversa società e culture. Gli uomini del pre- sente ricevono in consegna un patrimonio costruito con un passato spesso oscuro ed un futuro ignoto.


  Le incertezze del futuro, ovvero la nostra scarsa capacità di conoscere il progredire del degrado, valutare l’effetto delle trasformazioni e prevedere gli eventi naturali rari ed im- provvisi, rendono problematica la stima della vita residua di un manufatto. La cultura contemporanea è caratterizzata dalla presunzione di sconfiggere il tempo, cercando di fermarlo (con interventi strenuamente conservativi) o costruendo un’eternità effimera (con interventi invasivi e tecnocratici). L’attenzione per la sicurezza, erroneamente intesa come antitesi all’incertezza, ha complessivamente danneggiato il costruito e rappresenta ancora oggi uno dei principali fattori di rischio per la preservazione strutturale.


  È forse utile chiarire il significato dei termini che stiamo usando, secondo la teoria mate- matica delle probabilità.
Rischio è la probabilità che avvenga un certo evento dannoso in un fissato intervallo temporale (ad esempio: la probabilità che una costruzione crolli a seguito del terremoto atteso in quell’area nei prossimi 100 anni). Sicurezza è la probabilità che questo evento non si verifichi (rischio e sicurezza sono quindi correlatati: se esiste un ri- schio del 1%, ciò significa che il manufatto è sicuro al 99%). La valutazione quantitativa del rischio (o della sicurezza) è affetta da molte incertezze, legate all’imperfetta conoscen- za delle resistenze dei materiali, delle azioni attese, dei modelli matematici con i quali vie- ne simulato il comportamento strutturale; ridurre le incertezze, ovvero migliorare la cono- scenza, porta semplicemente ad una stima più precisa della sicurezza, che però non potrà mai essere assoluta, per sua stessa definizione.

 
  Emerge quindi che quando viene progettato un intervento di consolidamento su una costruzione esistente, così come quando si realizza una nuova struttura, le verifiche di si- curezza che si eseguono sono convenzionali, nel senso che si decide di accettare un mag- giore o minore rischio. Per una nuova costruzione il costo e la funzione sono alla base del- la scelta del livello di sicurezza da attribuire: ad esempio, un ospedale o un impianto in- dustriale sono progettati in modo tale da avere una probabilità di collasso minore rispet- to a quella di un edifico ordinario, il tutto ad un costo sostenibile per la società. Per una costruzione storica la questione è molto più complessa, in quanto: è difficile definirne il valore, gli interventi di consolidamento sono spesso a scapito della conservazione, le in- certezze sulla loro efficacia e sui modelli di calcolo sono elevate.


  L’impegno per la preservazione del costruito storico non può prescindere dalla continui- tà del tempo, in quanto preservazione strutturale significa prendersi cura di un manufatto, individuarne il funzionamento strutturale (ovvero il ruolo dei diversi elementi nel sostenere i pesi e le altre azioni), comprenderne l’evoluzione (attraverso un’attenta lettura di even- tuali sintomi di dissesto), valutare la sua capacità a sopportare gli eventi naturali (nella consapevolezza che la severità di questi ultimi non è facilmente stimabile).


  La conoscenza della storia passata, la comprensione del presente transitorio, l'attenzio- ne all’evolversi dei fenomeni (nella coscienza di un futuro finito), sono i più potenti ed effi- caci strumenti per la cura delle costruzioni.


  La preservazione di un manufatto storico deve quindi fondarsi: 1) sulla diagnosi, che de- finisce un tempo “zero” di riferimento per tutte le successive azioni; 2) sul monitoraggio continuo, che consente di cogliere le variazioni nel tempo; 3) sulla gestione della manu- tenzione ed il controllo degli eventi (rischi naturali, esigenze funzionali) ed interventi (tra- sformazioni, riparazioni, rinforzi).


 La diagnosi deve portare alla valutazione della sicurezza “attuale” della costruzione, at- traverso la comprensione del comportamento strutturale e l’individuazione dei suoi ele- menti di debolezza. Elementi della diagnosi sono il rilievo critico, la sperimentazione sui materiali e gli elementi architettonici, le simulazioni strutturali, l’interpretazione dei quadri fessurativi e deformativi; a tal fine, oggi sono disponibili strumenti molto avanzati: le tec- niche diagnostiche non distruttive (per il rilievo stratigrafico e tecnologico, per le proprie-tà meccaniche dei materiali); la modellazione numerica per l’analisi strutturale. Inoltre, la storia della costruzione può fornire preziose informazioni, sia perché rappresenta un colla- udo della sicurezza relativamente ad un fissato periodo di tempo, sia in quanto permette di conoscere i traumi e le trasformazioni che essa ha subito, e quindi le sue eventuali fragi- lità pregresse.


  Nell’ottica della continuità temporale proposta, è necessario individuare, attraverso la diagnosi, un protocollo per il controllo delle future variazioni del manufatto; l’insieme di tali procedure definisce il monitoraggio strutturale. Esso consiste nell’osservazione quali- tativa di alcuni aspetti ritenuti fondamentali per la valutazione della sicurezza e nel con- trollo periodico di un insieme di parametri misurabili, con l’obbiettivo di prevedere, in un tempo ragionevolmente utile, i dissesti. Il giudizio qualitativo deve evidenziare i cambia- menti occorsi nella costruzione, relativamente al degrado della materia ed ai sintomi di dissesto; in presenza di questi ultimi è necessario attualizzare la diagnosi e definire ulteriori parametri da controllare quantitativamente. I parametri che possono essere individuati per il monitoraggio strumentale sono di due tipi: grandezze statiche (spostamenti, inclina- zioni, apertura di lesioni, ...) e grandezze dinamiche (frequenze proprie, forme modali di vibrazione). Queste ultime rappresentano sinteticamente il sistema strutturale e le caratte- ristiche meccaniche dei materiali, e quindi costituiscono una vera e propria impronta digi- tale della costruzione (
impronta dinamica). Il controllo periodico dell’impronta dinamica rappresenta un ausilio al monitoraggio visivo, in quanto segnala l’inizio di un dissesto od un significativo degrado nelle proprietà dei materiali, spesso prima che questo sia eviden- te. Si ritiene infine opportuno includere nel monitoraggio anche una continua attenzione alle trasformazioni che l’ambiente circostante subisce (opere sui terreni, realizzazione infra- strutture, uso del territorio).


  La gestione della manutenzione ed il controllo degli eventi ed interventi rappresentano il punto critico della preservazione strutturale, in quanto implicano necessariamente un'a-zione diretta sul manufatto. È quindi indispensabile definire chiaramente le finalità della preservazione strutturale, avendo la consapevolezza che il nostro agire si inserisce in una finestra temporale breve rispetto alla vita del manufatto; termini come conservazione, reversibilità rappresentano princìpi che, se assunti quali dogmi, comportano come unica soluzione il non agire, osservando la naturale evoluzione del manufatto. Molto più realisti- camente la preservazione strutturale si pone come obbiettivo il “mantenimento in vita” di un manufatto che ci è stato consegnato, avendo cura di rallentare il decadimento della materia, se realmente necessario, e di verificare periodicamente la compatibilità della costruzione alle trasformazioni dell’ambiente e della società. Tale compatibilità si realizza quando è possibile affidarsi alle potenzialità della struttura originale, o nei casi in cui siano sufficienti modeste integrazioni del sistema con nuovi elementi. Sono invece da evitarsi le trasformazioni radicali del sistema strutturale, avendo sperimentato più volte il fallimento di questo modo di operare.

 

  In questo ambito, la manutenzione è un intervento di base in quanto il collaudo della storia ci dimostra l’idoneità statica della costruzione se mantenuta in certe condizioni. Tut- tavia è necessario avere la consapevolezza che la manutenzione non è uno strumento di mera conservazione, anche se il prezzo che si paga è generalmente accettabile. Si sottoli- nea come il monitoraggio consenta di ridurre al minimo la manutenzione, poiché consen- te di valutare il reale impatto del degrado sulla funzionalità statica della costruzione e, quindi, la sua effettiva necessità.


 La riparazione è un intervento che si realizza in seguito ad eventi traumatici che hanno danneggiato il manufatto; questi possono essere di varia natura: catastrofi naturali (si- sma, vento, inondazioni, …); dissesto idrogeologico (variazioni del livello di falda, movi- menti di pendio, …); uso improprio od interventi abusivi sul manufatto; interventi in adia- cenza. In alcuni casi tali eventi sono chiaramente identificabili, in altri essi emergono a valle dell’individuazione del dissesto, possibile attraverso la lettura ed interpretazione dei sintomi. È importante sottolineare che un dissesto si verifica in presenza di una causa sca- tenante, a parte rarissimi casi nei quali è il naturale decadimento della materia a far so- praggiungere condizioni di instabilità (troppo spesso, invece, i dissesti sono genericamen- te attribuiti alla vetustà); nel manufatto potranno essere eventualmente individuate cau- se predisponenti, ovvero debolezze intrinseche che lo rendono più vulnerabile ad una da- ta azione. La riparazione consiste quindi in un intervento che mira a ripristinare le condi- zioni precedenti al danno, per le quali era noto il buon funzionamento strutturale; ovvia- mente la riparazione dei danni deve essere associata alla eliminazione del perdurare della causa scatenante (stabilizzazione del pendio, corretto uso, …). Nel caso invece che risulti prevedibile il ripetersi dell’evento traumatico, alla riparazione dovrà essere associato un intervento di rinforzo, mirato alla limitazione delle cause predisponenti. Ovviamente il rin- forzo sarà ammissibile quando si individui la possibilità di realizzarlo con tecniche poco in- vasive e rispettose del sistema strutturale originale; esso fornirà una maggiore sicurezza al fabbricato, rispetto alle condizioni precedenti il dissesto.


  Il monitoraggio preserva la costruzione da alcuni eventi traumatici (fenomeni ad evolu- zione lenta), in quanto consente di affrontare la situazione già alla comparsa dei primi sin- tomi, quando il danno è molto limitato o neppure apprezzabile; in questi casi non è ne- cessaria la riparazione e si può agire esternamente, rimuovendo le cause scatenanti, o sul manufatto, con un rinforzo preventivo. Diversa è la situazione nel caso di eventi improvvi- si, quali le catastrofi naturali. In questi casi è particolarmente importante un’appropriata conoscenza della pericolosità del territorio, al fine di procedere ad un rinforzo preventivo che sia commisurato al rischio. Nel caso del terremoto, probabilmente la maggiore fonte di rischio per il patrimonio culturale italiano, questa filosofia di intervento è denominata
miglioramento sismico, termine che esprime l’incertezza nella definizione dell’intensità del sisma atteso e l’impossibilità di eliminare la danneggiabilità di una costruzione storica in muratura nei riguardi di questa azione. Le costruzioni antiche sono infatti concepite per sopportare azioni verticali prevalenti, attraverso un materiale, la muratura, che sopporta bene le sollecitazioni di compressione ma si fessura in presenza di stati di trazione; alcune tecniche (incatenamenti, cerchiature, contrafforti) possono migliorare il funzionamento si- smico, prevenendo dai collassi e limitando in misura significativa i danni. Nelle aree a maggior rischio sismico, soluzioni di questo tipo sono riscontrabili nella configurazione ori- ginaria del manufatto, a testimonianza che la frequenza del terremoto portava a consi- derare tale azione già in ottica preventiva, attraverso opportune regole dell’arte.


  Un ultimo importate aspetto nella gestione degli interventi è quello connesso al progetto di riuso del manufatto, che deve essere trattato come un vero e proprio evento. Chiara- mente il mantenimento dell’uso originale del manufatto, nell’ottica della continuità tem- porale del monitoraggio, costituisce una garanzia per la sicurezza. Tuttavia è importante considerare che il mantenimento di una costruzione attraverso società e culture diverse si concretizza anche attraverso un continuo uso. La preservazione strutturale deve quindi e- seguire un controllo, porre delle limitazioni ma anche proporre soluzioni. Una prima possi- bilità è quella della verifica di idoneità del sistema strutturale originario ai nuovi carichi o configurazioni (eventualmente con un limitato e compatibile uso di elementi strutturali di rinforzo); in questo senso i moderni strumenti di calcolo strutturale possono fornire valuta- zioni più accurate, mentre il monitoraggio può costituire un efficace collaudo permanen- te delle soluzioni adottate. In alternativa, piuttosto che agire sul sistema strutturale origi- nale, modificandolo nella sua essenza, è preferibile assegnare alcune delle funzioni por- tanti a nuove strutture (anche di moderna concezione), lasciando alla costruzione antica un insieme di azioni compatibili.


  Per conseguire le finalità della preservazione strutturale, sono disponibili diverse tipologie di intervento, che possono essere utilmente classificate in: 1) interventi tradizionali; 2) inter- venti moderni; 3) interventi con materiali e tecnologie innovative.


  Al primo gruppo appartengono soluzioni che si riscontrano nel costruito, frutto di una consolidata arte la cui efficacia e compatibilità è stata collaudata nei secoli: incatena- menti metallici, cerchiature, contrafforti, risarciture murarie. Gli interventi tradizionali, tal- volta definiti pre-moderni, erano mirati a fornire stabilità alla costruzione, preservandola dai collassi ma accettando la sua danneggiabilità in occasione di eventi particolarmente gravosi.


  Gli interventi moderni sono quelli che si sono progressivamente affermati, a partire dall'i- nizio del XX secolo, con l’avvento delle nuove strutture in cemento armato; l’entusiasmo verso questo nuovo materiale, unitamente all’adozione del calcolo e delle verifiche strut- turali come base del progetto, ha portato alla realizzazione di nuove strutture, saldamen- te connesse alla costruzione esistente, nell’intento di sgravare e sostenere quest’ultima. Il cemento armato veniva utilizzato per qualsiasi elemento, anche quando altri materiali sarebbero stati chiaramente preferibili (puntellature in c.a. anziché in legno, dove le esi- genze primarie sono l’immediata operatività e la facilità di smontaggio; cordoli in c.a. in- seriti con la sola funzione di incatenamento). Recentemente l’uso del c.a. nel costruito storico si è ulteriormente diffuso, impoverendosi peraltro di motivazioni strutturali: solai e coperture lignee vengono sostituite con orizzontamenti in c.a., senza che sia chiaro il van- taggio per la costruzione; intonaci armati nelle pareti murarie e cappe armate sulle volte occultano l’antica struttura, senza che vengano prodotti calcoli che dimostrino l'inade- guatezza della struttura originaria ed il miglioramento prodotto con tale rinforzo. Gli e- venti naturali, come il terremoto, o semplicemente il tempo hanno spesso dimostrato il fallimento di questi interventi.


  L’approccio che ispira l’uso di materiali e tecnologie innovative si riavvicina all'interven- to tradizionale: l’intervento si affianca alla costruzione, che conserva la sua funzione strut- turale, al fine di eliminare (o meglio ridurre) le vulnerabilità specifiche. Gli interventi sono in genere ispirati dai concetti di reversibilità e durabilità; inoltre i materiali sono utilizzati in quantità limitate, evitando i notevoli incrementi di peso caratteristici delle tecniche mo-derne. Per quanto riguarda i materiali si ricordano il titanio, le fibre di carbonio (e altri ma- teriali compositi) e le leghe a memoria di forma; esistono tecnologie che riducono le azio- ni, come l’isolamento sismico o il controllo attivo. Purtroppo l’applicazione nella maggior parte dei casi reali non è corretta: si adottano nuove tecniche, prima che sia stata svolta un’adeguata sperimentazione; l’uso è generalizzato e non limitato alle situazioni in cui è veramente necessario.


  Appare evidente, per quanto appena detto, che per la preservazione strutturale sono consigliabili gli interventi tradizionali, come soluzione compatibile ed in continuità con il tempo e la storia del manufatto. Soluzioni altamente tecnologiche (materiali, dispositivi) possono tuttavia essere utili, specie quando il progetto di riuso richiede prestazioni parti- colarmente gravose o quando il valore di alcuni elementi (ad esempio apparati decorati- vi fissi) rende prioritaria la riduzione del rischio di danneggiabilità. La forte critica verso gli interventi moderni non deve essere intesa come demonizzazione di un materiale, ma solo come disaccordo verso un certo modo di intendere il rinforzo; non si esclude quindi che il cemento armato possa essere usato in alcuni elementi, verificata la compatibilità chimi- co-fisica con l’esistente (sottofondazioni, architravi, ricostruzioni parziali).


 Recentemente si sta diffondendo l’uso dei
codici di pratica, manuali nei quali l’uso delle tecniche di riparazione e rinforzo è esemplificato nei diversi elementi costruttivi; in genere tali manuali vengono sviluppati con riferimento ad uno specifico contesto (una città, una regione caratterizzata da un costruito sufficientemente omogeneo), al fine di una mag- gior chiarezza e applicabilità. Anche se le finalità di questi documenti sono in linea di prin- cipio condivisibili, non va sottovalutato il rischio che essi risultino una sorta di ricettario dove trovare la soluzione da applicarsi acriticamente in ogni situazione; l’impatto potreb- be essere quello di giustificare, ancora una volta, interventi generalizzati e non giustificati. Un’altra prassi diffusa è quella di un approccio eccessivamente ingegneristico, nel senso di dare ampio sfogo all’ingegno; alcuni interventi, specie quelli sulle costruzioni monumen- tali di maggiore rilievo, sembrano ispirati dalla volontà di stupire a tutti i costi con solu- zioni speciali.


  La preservazione strutturale richiede, invece, di affrontare il problema con competenza, metodo e modestia, provando soddisfazione quando si riesce a dimostrare che non è ne- cessario alcun intervento ma essendo pronti ad individuare la soluzione senza pregiudizi. La collocazione di tali interventi all’interno di un’osservazione continua nel tempo garan- tisce, indipendentemente dalle modalità realizzative, che essi non risultino arbitrari o in- giustificati. Inoltre, ciò può portare ad una migliore conoscenza della costruzione, e quin- di ad interventi ragionati e verificabili nella loro efficacia. Il monitoraggio, acquisisce, pertanto, un valore fondamentale per la preservazione, in quanto risulta non solo essere strumento di previsione e prevenzione, ma anche strumento di controllo degli interventi e di limitazione delle arbitrarietà.


  Nel seguito vengono mostrati alcuni casi esemplificativi dell’operare in accordo o in contrasto con i princìpi della preservazione strutturale. Ciascun esempio viene introdotto quale spunto per considerazioni di carattere generale. La casistica non ha valore esausti- vo, specie con riferimento ai buoni interventi, in quanto spesso questi sono difficilmente rappresentabili con immagini (per la loro coerenza con la struttura originale). Non va infi- ne dimenticato che la soluzione preferibile per la preservazione è il monitoraggio, che spesso può evitare l’adozione di un qualsiasi intervento.


 

 

 

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