Vero e falso, due parole che si prestano a molte interpretazioni.
In architettura l'au- tentico e il fasullo si confrontano e si
confondono nello stesso edificio, nello stesso mo- numento, tanto che si
potrebbe tentare di fare una sorta di rivalutazione del falso, vi- sto
che spesso il falso testimonia una volontà di adeguarsi, di non
scioccare con forme estranee l’ambiente. Perché, come sosteneva
monsignor Della Casa, se è da persone garbate e civili adeguarsi alle
mode della città che ci ospita, il consiglio si potrebbe estendere alla
nuova architettura, specie quando si confronta con una realtà consoli-
data.
Non sarebbe pertanto difficile qui esporre una difesa del falso,
mostrando esempi di «eroici» falsi che si sono contrapposti a soluzioni
«coraggiose», e quindi vere, secondo quella logica manichea che vuole
l’architettura divisa tra «dura», forte, cattiva ma ve- ra, da quella
insipida e banale e quindi falsa. Ricordo che i futuristi delle Giubbe
Rosse recitavano:
E’ Firenze quella cosa
Dove tutto sa di muffa
C’è l’imbroglio, c’è la truffa
Movimento forestier!
A Milano si poteva costruire la «casa brutta», mentre a Firenze,
nella Firenze del do- poguerra e della ricostruzione, si confrontavano i
moderni contro i ricostruttori del «do- v’era e com’era», cioè, in altre
parole, del falso.
Visto le cose come sono andate, si potrebbe innalzare un
ringraziamento a chi ci ha salvato dal peggio (lo ha già fatto
Portoghesi) e fare un elogio della costruzione «in stile», anche se
quello, per la verità non è stato dei meglio.
Se si considera il Centro Storico, come un'unica opera d’ arte, e
se in questa opera si forma un buco, la regola del buon senso vuole che
non si chiami un «creativo» a riempire il buco. Non si chiama Picasso a
restaurare un tappeto persiano bucato.
Eppure sembra che questo non valga per molti dei nostri amministratori
che cercano ogni spazio vuoto che si crea nei nostri quartieri antichi,
per collocarci un segno incon- fondibile dei nostri tempi balordi. La
«creatività» è cercata, stimolata, super pagata, come si vivesse nei
tempi migliori del nostro sviluppo culturale e non in uno dei più
stagnanti che ci sia capitato di vivere.
Intendiamoci non è che non ci siano «artisti» ce ne sono fin
troppi: a un premio Firen- ze, di un qualche Fiorino d’oro, o d’argento,
hanno esposto in una galleria di via Ca- vour, 45 «artisti» tutti
premiati da una giuria, (mi dicono che erano solo quelli che era- no
stati segnalati). Vedendo questo genere di mostre si ha l’impressione
che la quanti- tà abbia ucciso la qualità. Di questo se ne sono resi
conto anche i nostri amministrato- ri: dato che qui a Firenze di artisti
non ce n'è più, (o ce ne sono troppi) si cercano fuori di casa. Gente
che non ha paura di confrontarsi con questa città perché non la cono-
sce. L’ultima scoperta sono gli «artisti del Bronx», i virtuosi della
bomboletta spray
(spray-gun).
Sei di sinistra? Allora devi essere per la bomboletta. Sei di destra?
Sei per la repressione della bomboletta. Per impedire che imbrattassero
Santa Verdiana, mi sono mascherato da Pulcinella e mi sono messo a
raccogliere firme. Non ho potuto impedire che imbrattassero
l’architettura della quale andavo più fiero, la scuola di San Salvi. Era
un’architettura moderna e quindi si poteva imbrattare.
C’è chi, da tutto questo, si è convinto che l’architettura moderna
non sia amata dalla gente. La materia con la quale è costruita è il
Cemento armato, un materiale difficile da conservare, così come è stato
pensato «faccia a vista» ma che si può con- servare in buono stato, se
tenuto bene e restaurato correttamente. Lo stesso avviene per il mattone
o per molti tipi di pietra. Mi è capitato proprio in questi giorni di
rivisita- re a distanza di quarant’anni, la scuola di San Salvi e di
fare in proposito alcune consi- derazioni. A me è servito per
ripercorrere la storia di un progetto dalla ideazione, alla sua
realizzazione pratica. Se non altro per vedere dove si sono fatti
errori, come rime- diarli, o come evitare di farne nel futuro. E’
destino di tutti quelli che hanno raggiunto la mia età, e superata,
vedere invecchiare la propria opera. Viviamo nella speranza di tornare a
essere di moda, come è successo a tutti quelli che sono campati molto.
Uno per tutti, Michelucci che della sua produzione degli anni trenta,
della quale si sarebbe volentieri sbarazzato, e che ha visto proprio una
di quelle architetture (la casa del Fa- scio di Arezzo) tanto apprezzata
da essere rappresentata nella copertina di un libro che raccoglie la sua
opera omnia.
Ma torniamo al nostro al nostro tema del Falso. Se si va a cercare
la parola sul voca- bolario, di sinonimi, se ne trovano a sfare:
apocrifo, artefatto, artificiale (ma l'architet- tura lo è sempre),
finto, illusorio, menzognero, surrettizio, truccato, etc. A meno che non
si tratti di un vocabolario recente, non si troverà la parola «virtuale»
che tra tutte le definizioni di falso è quella che ci dovrebbe più
interessare come architetti.
L’uso che si fa oggi della rappresentazione virtuale, per certi
versi, non è molto diver- so da quello della prospettiva, anche questa
scienza dell’inganno e della illusione («il- lusione prospettica»),
molto diversa dal modello o plastico che mostra la realtà qual è. Il
falso virtuale è un inganno come quello del prestigiatore, che fa vedere
quello che vuole lui e ci nasconde la realtà, servendosi dell’abile
giuoco di specchi e delle mani che ci inganna.
Ma c’è un altro aspetto che mi preoccupa, e dovrebbe preoccupare
non poco chi si interessa di architettura, ed è che anche le
costruzioni, quelle che si realizzano dav- vero, tendono ad allontanarsi
dalla realtà: divengono sempre più diafane e irreali co- me si fosse
perso il senso dei materiali della loro pesantezza e della loro
consistenza (consistenza era anche una delle raccomandazioni delle
lezioni americane di Calvi- no). Tempo fa ho visitato una di questi
grandi contenitori una multisala, comprenden- te ben diciotto sale
cinematografiche. Per rendersi conto della dimensione, basta pen- sare
che la
hall
di distribuzione è grande quanto una piazza cittadina, eppure appare
come non ci sia una qualche struttura che sostiene la copertura, appare
come se tut- to stesse su per miracolo, una nuvola di cartongesso.
Dentro appare un cielo stellato illuminato da tante stelle artificiali e
da una mezza dozzina di lune che sono apparec- chi per la segnalazione
degli incendi. Cosa la faccia star su non si capisce, da fuori appare
come una grande scatola rivestita di carta stagnola.
La tendenza a confezionare, avvolgere, nascondere non risparmia
neanche le archi- tetture vecchie (e a volte anche quelle antiche
purtroppo). Vecchi e tetri fabbricati in- dustriali, vengono avvolti da
involucri sgargianti, coloratissime insegne, immagini pub- blicitarie,
che nascondono completamente le vecchie facciate. A Firenze negli ultimi
anni ci siamo abituati a vedere i nostri monumenti rivestiti da
impalcature metalliche, vere architetture ipermoderne, tanto che
dovendole fotografare per una guida abbia- mo dovuto rivolgerci
all’archivio Alinari, perché dal vero non era possibile. Qualcuno ha
pensato che si potevano realizzare facciate dipinte su tela da applicare
come una seconda buccia alle facciate vere o alle impalcature dei
cantieri di restauro. A me venne in mente che si poteva costruire una
Firenze di plastica vicino all’aeroporto di Peretola per dirottarci i
turisti di bocca buona. Ma in America c’era qualcuno che ci a- veva
pensato prima di me realizzando centri commerciali configurati come un
con- centrato di città europee: Parigi, Venezia, Londra, Roma. Il tutto
realizzato sotto il sole dei tropici, a dimostrazione che non c’è limite
all’inganno virtuale.
__________________________
*Relazione del
5/12/2003 alla
VIII Conferenza Internazionale sulla
Conservazione e il Restauro. La Preservazione.
Sessione: Indiscrezioni e ricostruzioni
© echos
2003
|