ROBERTO MAESTRO

 

 VERO O FALSO IN ARCHITETTURA*

   

 

 

 


   Vero e falso, due parole che si prestano a molte interpretazioni. In architettura l'au- tentico e il fasullo si confrontano e si confondono nello stesso edificio, nello stesso mo- numento, tanto che si potrebbe tentare di fare una sorta di rivalutazione del falso, vi- sto che spesso il falso testimonia una volontà di adeguarsi, di non scioccare con forme estranee l’ambiente. Perché, come sosteneva monsignor Della Casa, se è da persone garbate e civili adeguarsi alle mode della città che ci ospita, il consiglio si potrebbe estendere alla nuova architettura, specie quando si confronta con una realtà consoli- data.
   Non sarebbe pertanto difficile qui esporre una difesa del falso, mostrando esempi di «eroici» falsi che si sono contrapposti a soluzioni «coraggiose», e quindi vere, secondo quella logica manichea che vuole l’architettura divisa tra «dura», forte, cattiva ma ve- ra, da quella insipida e banale e quindi falsa. Ricordo che i futuristi delle Giubbe Rosse recitavano:


 E’ Firenze quella cosa
 Dove tutto sa di muffa
 C’è l’imbroglio, c’è la truffa
 Movimento forestier!


   A Milano si poteva costruire la «casa brutta», mentre a Firenze, nella Firenze del do- poguerra e della ricostruzione, si confrontavano i moderni contro i ricostruttori del «do- v’era e com’era», cioè, in altre parole, del falso.
   Visto le cose come sono andate, si potrebbe innalzare un ringraziamento a chi ci ha salvato dal peggio (lo ha già fatto Portoghesi) e fare un elogio della costruzione «in stile», anche se quello, per la verità non è stato dei meglio.
   Se si considera il Centro Storico, come un'unica opera d’ arte, e se in questa opera si forma un buco, la regola del buon senso vuole che non si chiami un «creativo» a riempire il buco. Non si chiama Picasso a restaurare un tappeto persiano bucato.


  Eppure sembra che questo non valga per molti dei nostri amministratori che cercano ogni spazio vuoto che si crea nei nostri quartieri antichi, per collocarci un segno incon- fondibile dei nostri tempi balordi. La «creatività» è cercata, stimolata, super pagata, come si vivesse nei tempi migliori del nostro sviluppo culturale e non in uno dei più stagnanti che ci sia capitato di vivere.
   Intendiamoci non è che non ci siano «artisti» ce ne sono fin troppi: a un premio Firen- ze, di un qualche Fiorino d’oro, o d’argento, hanno esposto in una galleria di via Ca- vour, 45 «artisti» tutti premiati da una giuria, (mi dicono che erano solo quelli che era- no stati segnalati). Vedendo questo genere di mostre si ha l’impressione che la quanti- tà abbia ucciso la qualità. Di questo se ne sono resi conto anche i nostri amministrato- ri: dato che qui a Firenze di artisti non ce n'è più, (o ce ne sono troppi) si cercano fuori di casa. Gente che non ha paura di confrontarsi con questa città perché non la cono- sce. L’ultima scoperta sono gli «artisti del Bronx», i virtuosi della bomboletta spray
(spray-gun). Sei di sinistra? Allora devi essere per la bomboletta. Sei di destra? Sei per la repressione della bomboletta. Per impedire che imbrattassero Santa Verdiana, mi sono mascherato da Pulcinella e mi sono messo a raccogliere firme. Non ho potuto impedire che imbrattassero l’architettura della quale andavo più fiero, la scuola di San Salvi. Era un’architettura moderna e quindi si poteva imbrattare.

   C’è chi, da tutto questo, si è convinto che l’architettura moderna non sia amata dalla gente. La materia con la quale è costruita è il Cemento armato, un materiale difficile da conservare, così come è stato pensato «faccia a vista» ma che si può con- servare in buono stato, se tenuto bene e restaurato correttamente. Lo stesso avviene per il mattone o per molti tipi di pietra. Mi è capitato proprio in questi giorni di rivisita- re a distanza di quarant’anni, la scuola di San Salvi e di fare in proposito alcune consi- derazioni. A me è servito per ripercorrere la storia di un progetto dalla ideazione, alla sua realizzazione pratica. Se non altro per vedere dove si sono fatti errori, come rime- diarli, o come evitare di farne nel futuro. E’ destino di tutti quelli che hanno raggiunto la mia età, e superata, vedere invecchiare la propria opera. Viviamo nella speranza di tornare a essere di moda, come è successo a tutti quelli che sono campati molto. Uno per tutti, Michelucci che della sua produzione degli anni trenta, della quale si sarebbe volentieri sbarazzato, e che ha visto proprio una di quelle architetture (la casa del Fa- scio di Arezzo) tanto apprezzata da essere rappresentata nella copertina di un libro che raccoglie la sua
opera omnia.

   Ma torniamo al nostro al nostro tema del Falso. Se si va a cercare la parola sul voca- bolario, di sinonimi, se ne trovano a sfare: apocrifo, artefatto, artificiale (ma l'architet- tura lo è sempre), finto, illusorio, menzognero, surrettizio, truccato, etc. A meno che non si tratti di un vocabolario recente, non si troverà la parola «virtuale» che tra tutte le definizioni di falso è quella che ci dovrebbe più interessare come architetti.
   L’uso che si fa oggi della rappresentazione virtuale, per certi versi, non è molto diver- so da quello della prospettiva, anche questa scienza dell’inganno e della illusione («il- lusione prospettica»), molto diversa dal modello o plastico che mostra la realtà qual è. Il falso virtuale è un inganno come quello del prestigiatore, che fa vedere quello che vuole lui e ci nasconde la realtà, servendosi dell’abile giuoco di specchi e delle mani che ci inganna.

   Ma c’è un altro aspetto che mi preoccupa, e dovrebbe preoccupare non poco chi si interessa di architettura, ed è che anche le costruzioni, quelle che si realizzano dav- vero, tendono ad allontanarsi dalla realtà: divengono sempre più diafane e irreali co- me si fosse perso il senso dei materiali della loro pesantezza e della loro consistenza (consistenza era anche una delle raccomandazioni delle lezioni americane di Calvi- no). Tempo fa ho visitato una di questi grandi contenitori una multisala, comprenden- te ben diciotto sale cinematografiche. Per rendersi conto della dimensione, basta pen- sare che la
hall di distribuzione è grande quanto una piazza cittadina, eppure appare come non ci sia una qualche struttura che sostiene la copertura, appare come se tut- to stesse su per miracolo, una nuvola di cartongesso. Dentro appare un cielo stellato illuminato da tante stelle artificiali e da una mezza dozzina di lune che sono apparec- chi per la segnalazione degli incendi. Cosa la faccia star su non si capisce, da fuori appare come una grande scatola rivestita di carta stagnola.

   La tendenza a confezionare, avvolgere, nascondere non risparmia neanche le archi- tetture vecchie (e a volte anche quelle antiche purtroppo). Vecchi e tetri fabbricati in- dustriali, vengono avvolti da involucri sgargianti, coloratissime insegne, immagini pub- blicitarie, che nascondono completamente le vecchie facciate. A Firenze negli ultimi anni ci siamo abituati a vedere i nostri monumenti rivestiti da impalcature metalliche, vere architetture ipermoderne, tanto che dovendole fotografare per una guida abbia- mo dovuto rivolgerci all’archivio Alinari, perché dal vero non era possibile. Qualcuno ha pensato che si potevano realizzare facciate dipinte su tela da applicare come una seconda buccia alle facciate vere o alle impalcature dei cantieri di restauro. A me venne in mente che si poteva costruire una Firenze di plastica vicino all’aeroporto di Peretola per dirottarci i turisti di bocca buona. Ma in America c’era qualcuno che ci a- veva pensato prima di me realizzando centri commerciali configurati come un con- centrato di città europee: Parigi, Venezia, Londra, Roma. Il tutto realizzato sotto il sole dei tropici, a dimostrazione che non c’è limite all’inganno virtuale.
 


    
                                                                

 

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*Relazione del 5/12/2003 alla
VIII Conferenza Internazionale sulla Conservazione e il Restauro. La Preservazione. Sessione: Indiscrezioni e ricostruzioni
 

 

 

 

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