FLAMINIA MONTANARI

 

                                                  GRANDE VIABILITA' E PREESISTENZE:

                                                  UN TEMA CENTRALE NEL PAESAGGIO 

 

 

 

 

LA STRADA COME ELEMENTO DI RELAZIONE

  Un progetto di viabilità pone fin dall'inizio una serie di interrogativi ai quali – qualunque esso sia – si è tenuti a cercare di dare risposta. Senza alcuna pretesa di fare una trattazio- ne esauriente del tema, mi limito a presentare qualche riflessione dal punto di vista territo- riale, cercando di mettere in luce, al di là dei singoli problemi, le relazioni e le interazioni tra di essi.

  A suffragio porterò qualche esempio tratto dalla realtà valdostana che meglio conosco delle altre; ma ritengo che la maggior parte delle osservazioni possa avere tranquillamen- te carattere generale, e si presti quindi ad essere applicata alle altre realtà, quantomeno alle realtà montane.
Il tema della grande viabilità è di fondamentale importanza per le valli alpine, che da sempre soffrono di condizioni di isolamento e di “effetto periferia”. In queste realtà la stra- da è generalmente considerata come il presupposto per lo sviluppo economico e territo- riale. Ciononostante, è anche un tema in cui generalmente troppe cose si danno ingiusta- mente per scontate: prima fra tutte l’equazione velocità di accesso = sviluppo economi- co. Su questa affermazione di regola non si discute neppure: la strada veloce è un requisi- to essenziale per lo sviluppo territoriale. Questa asserzione invece deve essere almeno sot- toposta al vaglio del dubbio e chiarita nei suoi limiti di validità.

  Premetto alcune considerazioni del tutto banali, ma che non dovremmo mai dare per scontate. Lo scopo di una strada a percorrenza veloce è di mettere in comunicazione due punti: ciò che interessa non è quindi l'oggetto strada in sé stesso, che è solo la linea che li congiunge: di essa importa che sia la più breve possibile, cioè che si avvicini quan- to più si può a un segmento di retta. Né di questa linea importa il piano d’appoggio, cioè il territorio attraversato. Di conseguenza l'impostazione progettuale è prevalente- mente trattata da un punto di vista tecnico–ingegneristico: data per ipotesi come miglior soluzione la linea retta, il progetto si preoccupa di scansare gli ostacoli che incidental- mente il territorio presenta rispetto a questo riferimento ideale. Ne risulta una linea spezza- ta, rispetto a cui il compito del progettista è di disegnare le curve necessarie a raccordar- ne i segmenti.
  Questo modo di impostare il problema comporta come conseguenza che la strada non venga concepita come una struttura di servizio, quanto come un elemento estraneo che con le proprie regole geometriche si incide nel tessuto vivo del territorio come un taglio o una barriera. Ne soffre quindi tutto l'assetto storico territoriale: e non solo in un senso squi- sitamente estetico e paesistico, ma nel senso più pieno dell'eredità dell'organizzazione storica, perchè la strada, in quanto elemento di relazione, istituisce nuove gerarchie e nuovi rapporti che sconvolgono quelli già consolidatisi nel tempo: il suo progetto deve quindi essere attentamente vagliato in rapporto alle conseguenze territoriali.
  In quanto elemento di relazione, dovrebbe essere nella stessa natura della strada di col- locarsi sempre nel contesto di un disegno pianificato, poiché essa rappresenta il nesso di continuità tra oggetti e situazioni caratterizzati dalla discontinuità nel tempo e nello spa- zio. Ma nella maggior parte dei casi la strada nasce prima o nasce dopo: prima la strada, e inesorabilmente allora si crea attorno l’insediamento lineare, la striscia edificata conti- nua, a prevalente destinazione produttiva e commerciale; prima l’insediamento, e allora la strada finisce per inserirsi a forza nei distacchi, nei vuoti, o per tagliare e sventrare il tes- suto urbano.
  Definire la strada come struttura di relazione comporta però la necessità di analizzare quali relazioni essa instaura e tra che cosa.


 


RELAZIONE TRA TERRITORI DISTANTI


  Si dice che la strada veloce favorisce l’afflusso turistico; è quindi vista come un fattore di sviluppo in questo settore.
  Questa affermazione può essere vera in parte, ma con una serie di doverosi distinguo. In- nanzi tutto bisogna definire “quale” turismo. In Valle d’Aosta, la costruzione negli anni ‘60 dell’autostrada ha favorito essenzialmente la crescita delle seconde case, agevolando il pendolarismo di fine settimana dalle città del triangolo industriale del nord-ovest. Questo fenomeno ha creato degli effetti di forte distorsione su tre fronti:
 1) il sovraccarico edilizio del territorio, con bassa utilizzazione del patrimonio immobiliare e netto degrado del paesaggio;
 2) la creazione di lunghi periodi di “ vuoto” alternati a momenti concentrati di punta at- torno a Natale e a Ferragosto;
 3) gli alti costi di gestione per i Comuni, che devono mantenere tutto l’anno servizi e in- frastrutture dimensionate sui momenti di punta.
Inoltre, trattandosi evidentemente di un pendolarismo in un raggio di percorrenza di due/ tre ore, e quindi non facilmente scaglionabile, questo tipo di mobilità ha comportato un nuovo problema per il traffico, intasando i caselli autostradali il venerdì sera e il sabato mattina fino alle dieci per l'arrivo e la domenica pomeriggio, dalle cinque alle nove di se- ra, per la partenza. Si creano lunghe code all’uscita dei caselli in andata, e nell’ultimo tratto delle valli al ritorno, e intasamenti dell’autostrada stessa che spesso viene percorsa a velocità minime. Il vantaggio di una viabilità più veloce viene dunque annullato da u- na utenza eccessiva; il cosiddetto “sviluppo turistico” entra in una spirale da cui è difficile uscire: si può vendere al turista il fine settimana di aria pulita costringendolo a due ore di coda nello scarico delle macchine? Fino a quando potrà reggere un’offerta di questo ge- nere?
  Non ha senso trasferire velocemente della gente tra due punti, per poi in quei due punti mantenerla ferma in ingresso e in uscita, in modo da annullare ogni vantaggio ottenuto con la maggior velocità. La velocità della strada non è quindi l'unico elemento da tenere in considerazione nel progetto: la strada è parte di una rete di comunicazioni che dev'es- sere investita nel suo complesso dallo studio; e deve entrare a far parte di un atto pianifi- catorio in cui i flussi di persone e di merci siano valutati in maniera organica, come siste- ma sanguigno dell’organismo territoriale, e messi in rapporto alle previsioni della pianifi- cazione locale. All’inverso, bisogna avere il coraggio di porre con chiarezza alle comuni- tà locali la necessità di pianificare non solo lo sviluppo, ma anche i limiti in cui tale svilup- po deve mantenersi, se non si vuole che la strada diventi la nuova spinta verso lo sponta- neo aggregarsi, attorno ad essa, dell’insediamento lineare, che ha distrutto la gran parte dell’organizzazione territoriale del settentrione italiano (guardiamo l’autostrada verso Ve- nezia! ).
  Inoltre, la grande viabilità favorisce alcune località e ne sacrifica altre, imponendo così  al territorio nuove gerarchie e nuove polarità, spesso in contraddizione con le sue voca- zioni, con la sua storia e con la pianificazione locale. La strada a percorrenza veloce ten- de a collegare dei punti: attorno a questi punti si avranno fenomeni di polarizzazione, mentre tutto il tessuto che viene solo "tagliato" subisce fenomeni di abbandono – con la esclusione delle fasce immediatamente accessibili. Si ottiene cioè uno svuotamento di funzioni di ciò che resta "in secondo piano", che di per sé non deve essere un danno, se questo fosse intenzionalmente programmato. Si pensi per esempio allo sforzo delle Sovrin- tendenze per tenere lontano il tracciato di un'autostrada da un borgo antico, parago- nandolo al fatto che di lì a pochi anni quel borgo incomincerà probabilmente a cadere in rovina per abbandono, proprio in virtù dell'averlo salvato da una distruzione più certa. In una logica di programma, ci si sarebbe dovuti chiedere in che modo valorizzare il bor- go come risorsa in funzione della nuova arteria di scorrimento (circuiti turistici, recupero residenziale) e si sarebbero determinati investimenti strutturali per il suo recupero, evitando in questo modo il disordinato aggregarsi attorno ai nuovi poli di periferie informi.

 

 


LA STRADA COME ELEMENTO DI RELAZIONE ECONOMICA


  Si dice che il miglioramento delle comunicazioni agevoli comunque l’economia locale, in particolare le imprese decentrate sul territorio, che soffrono di condizioni di marginalità rispetto ai grandi poli produttivi. L'affermazione non è in sé sufficiente, ma ne vanno defi- niti i limiti di validità, inquadrandola in un panorama un po' più ampio.
  Rilevo intanto che nessuna azienda nuova si è installata in Valle d’Aosta a motivo della presenza autostradale, e che per incentivare l’installarsi di nuove imprese la Regione è tut- tora costretta ad una forte politica di incentivi; il grosso patrimonio di aree recentemente acquistato dalla Regione (aree ex-Cogne) trova enorme difficoltà ad essere immesso sul mercato come parco industriale; lo stesso autoporto in via di realizzazione non sembra decollare con facilità. Un’area marginale non ha attrattive per l’industria; le attrattive possono inizialmente essere la manodopera a minor costo (ma anche questa è una situa- zione che non regge a confronto col mercato turistico), o il regime di incentivi pubblici che comunque determina solo permanenze di breve periodo – lo vediamo bene dalla ro- tazione veloce di aziende in Valle. Allora, anche per l’insediamento produttivo, l’unica of- ferta reale che possono fare le aree montane è la qualità ambientale, che sempre più sta assumendo pregio e sempre più sarà attraente anche sul mercato delle aree industriali. Ancora una volta, la strada deve inserirsi in un progetto globale, questa volta come ele- mento di qualità dell’ambiente. Chi ha detto infatti che la strada debba essere neces- sariamente un corpo estraneo, indifferente all'intorno e di per sé brutto e squallido? Basta veder la cura con cui vengono progettate le strade in alcuni paesi esteri – in particolare nel Liechtenstein e in certi cantoni svizzeri – per rendersi conto che la strada può essere an- che un oggetto di qualità, e dare il suo contributo ad una nuova lettura dei valori del paesaggio. E' solo una questione di sensibilità e di attenzione ai contesti, che deve essere assunta in fase progettuale.
  Poi esiste il problema, di importanza primaria, della commistione dei flussi. Personalmen- te sono ancora convinta che, nel caso della Valle d’Aosta, se si fosse costruita una ca- mionabile invece dell’autostrada a traffico misto si sarebbe fatta una migliore scelta. La Val d'Aosta infatti, con i due trafori del Bianco e del Gran San Bernardo, si trova ad essere un vero e proprio corridoio; e quindi sarebbe suo interesse essere attraversata con il minor danno possibile. A questo dovrebbe provvedere l'autostrada. La separazione dei traffici (o, in alternativa, una adeguata politica tariffaria) costringerebbe il flusso dei veicoli non commerciali a attraversare invece la Valle a ridosso dei centri abitati, godendone il pa- norama e offrendo occasioni e possibilità di sosta ai turisti in transito.
 

 


LA STRADA COME ELEMENTO DI RELAZIONE TERRITORIALE


  Una strada non può solo attraversare un territorio, lo deve servire. Ciò comporta che es- essa si inserisca armonicamente nell'organizzazione complessiva dell’insediamento uma- no. Normalmente le strade si sovrappongono come fatalità al disegno dei piani regolato- ri, e difficilmente a sua volta il comune varia il suo piano in considerazione delle nuove caratteristiche della strada, che viene semplicemente sovrapposta alla cartografia per poter effettuare gli espropri. Ma in mancanza delle decisioni comunali è la strada a varia- re in realtà il piano, perché immediatamente si genera la pressione all’edificazione delle sue aree di margine. E’ perciò importante che la viabilità venga progettata in un regime di concertazione con gli enti locali che preveda la variante degli strumenti urbanistici non al solo fine dell’inserimento del suo tracciato, ma anche ai fini della previsione dei nuovi assetti che essa potrà generare.
  Inoltre il tracciato della strada è valutato dalle Sovrintendenze sulla base della salva- guardia dei valori monumentali (solo nel caso che ci si trovi anche in una zona sottopo- sta a vincoli paesistici subentra anche una valutazione di tipo più generale). Questa otti- ca di salvaguardia puntuale è apprezzabile dal punto di vista almeno della conservazio- ne fisica degli oggetti – quante chiese, ville o castelli sarebbero già stati distrutti! – ma non protegge, come già detto, il tessuto storico del territorio né i suoi valori minori: i trac- ciati antichi delle strade, i biotopi interessanti, la miriade di segni che meriterebbe, se non di essere in toto conservata, di essere almeno valutata e sottoposta ad un'accurata cerni- ta. E' questo il significato della preservazione: ogni epoca ha il diritto-dovere di introdurre i suoi segni, ma nell'ottica di una buona gestione del patrimonio, come il buon padre di famiglia che "tira fuori dalla sua cassapanca cose vecchie e cose nuove".
 

 


LA STRADA COME ELEMENTO DI FRUIZIONE PAESISTICA


  A proposito dell’inserimento del manufatto nel contesto paesistico è necessario fare due diversi ordini di valutazione: da un lato la strada vista come elemento del paesaggio e dall'altro il paesaggio visto dalla strada. Nella progettazione va tenuto conto che si trat- ta di due ottiche diverse: una va messa in relazione alla qualità ambientale locale, l’altra all’immagine e all’offerta turistica. Faccio alcune riflessioni a questo proposito sulle vicen- de dell'autostrada valdostana, che mi sembra particolarmente interessante.
  L’autostrada è stata costruita in due tempi, un primo tratto fino ad Aosta negli anni ’60, il secondo tratto da Aosta al traforo del Monte Bianco negli anni ’90 – tuttora in via di ulti- mazione. I due tratti, in parte a causa delle diverse problematiche presentate dall'orogra- fia, presentano caratteristiche progettuali del tutto opposte: nella prima parte l'autostra- da corre su di un tracciato che taglia in modo “ indifferente ” il territorio, quasi sempre in rilevato o su viadotto, e in lunghi tratti costeggia la Dora Baltea. Da questa posizione centrale il paesaggio della piana scompare quasi completamente, mentre risulta valoriz- zata la vista sui versanti, in particolare sui borghi appoggiati al piede collinare. Peraltro, i piloni dei viadotti sono stati oggetto di un particolare studio ed hanno indubbiamente u- na buona qualità dal punto di vista dell’inserimento paesistico.
  Il tratto di nuova costruzione invece è stato soggetto a lunghe spinte e contrattazioni da parte dei Comuni, che consideravano giustamente come una condizione sfavorevole l’essere tagliati e attraversati dall’infrastruttura veloce, e (molto al di là della stretta esi- genza dovuta alla necessità di guadagnare quota nel tratto più stretto e ripido della Val- le, che costringe l’autostrada a zigzagare tra i due versanti) è stato relegato quasi com- pletamente in galleria, da cui sbuca solo in brevi tratti su ponti che tagliano i valloni late- rali o nei grandi viadotti che intersecano diagonalmente la Valle centrale congiungendo le gallerie sui due versanti. Il paesaggio “visto dall’autostrada” non esiste: gli stessi residen- ti faticano a capire dove si trovano nei brevi scorci visibili tra le gallerie. Il risultato è che chi attraversa questa parte di Valle provenendo dall’estero passa in un imbuto da cui non percepisce minimamente l’immagine del territorio attraversato, con grave danno al- la possibilità di attrazione turistica del traffico di passaggio. Le opere d’arte, partendo dal concetto di dover nascondere quanto più possibile questo brutto e scomodo oggetto, sono state viste come opere di pura ingegneria e non sono state pensate come valori nel paesaggio, perdendo così una magnifica occasione di valorizzarne la qualità: porto l'e- sempio del viadotto del Mont Bardon, alto centocinquanta metri, che crea un enorme portale visivo proprio nel primo tratto della statale da cui si gode la vista del Monte Bian- co. Si sarebbe potuto studiare il modo di fare di questa opera una vera e propria cornice per la veduta, mentre oggi essa la intercetta solo con un taglio sghembo, distorcendola e disturbandola.
  Dal punto di vista del turismo, la strada è un biglietto da visita importante; essa deve costituire un invito, deve offrire la possibilità di sostare per vedere, di uscire, di immettersi nel tessuto territoriale. Spesso la veduta sul castello è coperta dallo stesso cartello che lo indica; nella maggioranza dei casi non esiste modo di sostare, di fotografare, di informarsi per capire come fare a raggiungerlo…
  Meriterebbe un lavoro approfondito a sé lo sviluppo della concezione della strada come momento di informazione e come guida turistica. Si è tentato in Valle d'Aosta con un pro- getto sulla valorizzazione del percorso della “via Francigena” a porsi il problema di utiliz- zare gli spazi di sosta autostradali per collocare dei pannelli con la cartina e le indicazioni per dei brevi itinerari di visita al territorio circostante; un’interruzione del viaggio di lunga percorrenza, un’occasione di sosta e di riposo, di conoscere luoghi su cui forse uno potrà decidere di voler ritornare. Per ora questa iniziativa non ha avuto altro seguito; sono però allo studio due parcheggi autostradali, luoghi di sosta in cui senza uscire dall’autostrada si può lasciare la macchina e da cui si raggiunge comodamente a piedi in un caso una zona ricreativa, nell’altro caso il centro storico di Aosta.

 



LA STRADA COME PARTE DEL SISTEMA DI FONDOVALLE


  In un territorio di montagna, il fondovalle concentra tutte le canalizzazioni; in particola- re, la strada di fondovalle entra in stretto rapporto con il sistema idrografico. E’ abbastan- za naturale che la progettazione tenda a seguire il corso d’acqua per almeno due moti- vi: l’uno di ordine geografico – l’acqua ha di solito già trovato da sola il percorso miglio- re – e l’altro di tipo operativo – le sponde e il loro immediato intorno sono le fasce di ri- spetto rimaste libere grazie ai rischi e ai vincoli gravanti su di esse, e in cui quindi è più fa- cile trovare un passaggio senza creare problemi alle preesistenze. Inoltre si tratta spesso di terreni demaniali o di poco valore, la cui acquisizione si presenta più facile. Al di là del problema paesistico – che abbiamo visto comunque presentare questa duplicità, per cui il parallelismo col fiume può essere negativo “nel” paesaggio ma presentare invece un paesaggio interessante “dalla” strada – la vicinanza della strada al corso d’acqua pone alcuni problemi di cui spesso si tiene poco conto, ma che abbiamo toccato con mano nell'alluvione dell'ottobre 2000 in Valle d’Aosta.
 Il primo di questi è che si mette a rischio la struttura stessa. Durante l’evento del 2000, la autostrada si è allagata ed è stata in alcuni tratti parzialmente asportata, con la conse- guenza che la Regione è rimasta isolata non solo nei confronti dell’esterno ma anche al suo interno – l’unico collegamento possibile per alcuni giorni è stato effettuato per mezzo di elicotteri. La strada deve essere anche fattore di sicurezza, non deve essere collocata in zone a rischio.
  Un secondo aspetto riguarda il fatto che il rilevato autostradale costituisce per così dire una sponda di golena artificiale, una barriera che contiene e devia l’acqua di esondazio- ne, alterando così la meccanica naturale degli eventi di piena. Sempre in occasione della alluvione, in alcuni casi questa “diga” ha funzionato in modo positivo, salvaguardando degli abitati, in altri casi essa ha impedito l’esondazione su ampie zone che fungevano un tempo da cassa di laminazione, permettendo così all'acqua di trascinare verso valle una maggior quantità di materiali solidi e aumentando sempre più i rischi a valle. In altri casi ancora essa è entrata nei paesi per la “porta” dei sottopassi, invadendo le sedi stra- dali e trasformandole in torrenti. Non dobbiamo infatti dimenticare che tanto l’acqua che le strade costituiscono delle strutture di flusso, e che i loro punti di contatto sono sem- pre elementi di rischio – come se in un organismo mettessimo in comunicazione la circola- zione venosa con quella arteriosa.

  La conclusione di questo frammentario panorama, fatto più che altro di spunti che meri- terebbero un approfondimento separato, è che il progetto di un’opera stradale è un pro- getto complesso, le cui interazioni devono essere accuratamente indagate sotto una molteplicità di punti di vista. Ma soprattutto che la strada veloce è un progetto che ri- chiede da un lato un alto livello di consapevolezza e di partecipazione alle scelte da par- te delle comunità locali (che il più delle volte non sono messe in grado di valutare le reali conseguenze delle scelte), dall'altro una serie coordinata di misure e provvedimenti attivi sul territorio per indirizzare le conseguenze delle scelte effettuate nella direzione voluta, in modo da evitare che la strada diventi origine di un tessuto degenerativo, e sia invece oc- casione per preservare e valorizzare il tessuto storico del territorio.