Si
parla ormai dappertutto di restaurare il paesaggio. Ma
non è chiaro che cosa ciascuno intenda definire con
questa locuzione: ognuno at- tribuisce all'espressione
un significato che dipende dalla sua stessa con- cezione
di paesaggio, e lo stesso termine restauro induce a
pensare che si possa in qualche modo invertire la
freccia del tempo e tornare ad uno stato anteriore di
integrità e di armonia. Ma a quale stato, se il
paesaggio ha come caratteristica proprio la sua continua
trasforma- zione?
E' allora utile
forse piuttosto applicare al paesaggio il concetto di
pre- servazione, che non contrasta con una visione
dinamica ma che impli- ca la considerazione e
valutazione della consistenza e qualità del patri- monio
territoriale nelle scelte di trasformazione che esso
forzatamente implica. Non si tratta allora di impedire
le modificazioni, a vantaggio della mummificazione di
un'immagine, quanto di valutare le possibili
trasformazioni per così dire "dall'interno" del sistema
territoriale e della sua intrinseca logica evolutiva,
rispettandone i complessi equilibri.
Ciò implica
che anche l'operatore si ponga all'interno del sistema;
e ci fa scoprire che, in realtà, le vere operazioni che
distruggono un paesaggio sono quelle nelle quali una lo-
logica economica esterna si sovrappone al territorio, sfruttandone le risorse senza
contri- buire a crearne
altre. Le risorse territoriali si trasformano cioè in
pure risorse finanziarie, e i beni materiali perdono consistenza per divenire beni volatili e virtuali. Un
territorio può ap- parentemente così diventare più ricco
se lo misuriamo con i parametri dell'economia cor- rente,
e risultare di fatto più povero per la perdita di valore
intrinseco, e di conseguenza di prospettive di lungo
termine.
Se questa
enunciazione può sembrare vaga e arbitraria, possiamo
provare a sviluppare qualche ragionamento basandoci
sull'analisi del paesaggio come struttura testuale. E'
or- mai universalmente acquisito il concetto della
lettura del paesaggio come linguaggio, cioè come sistema
di elementi significanti. E poiché ogni segno, o parola,
di un testo as- sume significato solo nel contesto, cioè
in base alle regole che lo relazionano agli altri se-
gni, così anche i singoli elementi che compongono il
paesaggio possono essere corretta- mente decifrati solo
attraverso il loro rapporto con lo spazio e il tempo cui
sono ancorati. Non leggo cioè il segno in sé quanto
invece, attraverso quella traccia, la relazione che lo
colloca nei rapporti di potere che nel suo tempo si
esprimono nel confronto con gli altri segni. Se per
esempio considero i segni degli sfruttamenti agrari,
questa relazione diven- ta ancora più importante.
Prendiamo i muri di terrazzamento di un pendìo: essi ci
infor- mano in primo luogo che quel terreno è – o è
stato – coltivato; ma solo mettendoli in rapporto con
altri elementi come la presenza di un sistema di
irrigazione, la vicinanza di abitati aggregati o sparsi,
posso capire a quale tipo di sfruttamento agrario o a
quale ti- po di organizzazione e gerarchia sociale, a
quale stadio di tecnologia facciano riferimen- to.
Inoltre elementi di grande organizzazione di questo
genere hanno una permanenza – legata ad altri fattori,
come per esempio la parcellizzazione della proprietà –
che il più delle volte attraversa i secoli in
maniera del tutto disomogenea rispetto alle vicende sto-
riche che coinvolgono l'aggregato urbano.
Il paesaggio
insomma deve essere affrontato come un sistema
complesso, e come tale non è più possibile ricorrere
alla vecchia logica della sommatoria di singoli
elementi. Mi sembra utile perciò indicare alcuni spunti
di riflessione, a partire dai quali si dovrebbe svi-
luppare il dibattito sul paesaggio.
1.
E' necessario abbandonare il concetto estetico
ereditato dalle leggi del '39 del pae- saggio come
quadro naturale e come spontanea fusione dell'opera
dell'uomo e della na- tura. Il paesaggio non é il
fondale del teatrino su cui si muovono i burattini della
storia; il territorio infatti è un elemento che entra
in gioco spesso se non nella maggior parte dei casi come
determinante delle vicende storiche, soprattutto quelle
che implicano le mag- giori trasformazioni territoriali
– grandi migrazioni, guerre, ecc. Se intendiamo allora
il pae- saggio come forma significante del territorio,
esso va esplorato a partire dall'organicità del
rapporto popolazione/territorio piuttosto che a partire
dai segni.
2. Il concetto di
paesaggio fa comunque capo a un'idea di percezione:
anche rifiutan- do un approccio meramente estetico, esso
si differenzia da una lettura di tipo prettamen- te
geografico, limitata all'organizzazione spaziale. Il
paesaggio implica una percezione con tutti i sensi: la
macchia mediterranea è tale non solo per la natura dei
suoli, le essen- ze vegetazionali, la temperatura che la
caratterizzano, ma può essere definita come pae- saggio
nell'insieme delle sensazioni – il caldo umido, la luce
diffusa, l'odore aromatico e pungente, il frinire dei
grilli e delle cicale. Un cieco potrebbe riconoscere il
paesaggio an- che senza vederne con gli occhi i singoli
profili ed elementi. Il paesaggio è cioè una per-
cezione globale dell'ambiente.
3.
Il concetto di ambiente è essenzialmente un
concetto evolutivo. L'ambiente si trasfor- ma in
continuazione, sia ad opera degli agenti naturali che ad
opera della presenza u- mana. Anche la sua percezione
perciò si trasforma: il paesaggio è in perenne
mutazione, ciò che in esso sembra immobile esprime solo
un equilibrio determinato da un continuo apporto
energetico – il paesaggio terrazzato, per riprendere
l'esempio precedente, si mantiene fino a che qualcuno
provvede a ripristinare i muretti che cedono; se cessa
que- sto apporto ben presto i muretti verranno
"riassorbiti" nel pendìo e, attraverso tutta una serie
di stadi vegetazionali, il bosco riconquisterà lo
spazio. Il paesaggio è perciò perce- zione di un
equilibrio dinamico, che nel caso del paesaggio
antropizzato è basato sull'ap- porto di lavoro e risorse
umane. A sua volta la caratterizzazione del paesaggio
dipende dalla leggibilità stessa di questo rapporto:
percepiamo come molto caratterizzato un paesaggio il cui
equilibrio è instabile (i calanchi, gli scogli battuti
dalle onde, le rocce a picco, le dune) oppure ciò che,
in una raggiunta apparente stabilità, mostra i segni
rico- noscibili di una fase altamente instabile, di
trasformazione (le marmitte dei giganti, le mo- rene
glaciali, i crateri e i laghi vulcanici, le linee di
giacitura delle rocce). Il paesaggio tut- tavia non può
essere ridotto in termini di bilanci energetici, come
alcune scuole tendono oggi a fare; essi rappresentano
una importante chiave di analisi della loro
caratterizzazio- ne e un fondamentale strumento
progettuale, tuttavia non esauriscono il concetto: il
no- stro cieco può riconoscere il paesaggio anche senza
questi strumenti.
4.
Il paesaggio non è fatto solo di elementi fissi,
ma anche di elementi che nascono dal- l'uso e di beni
immateriali, di cultura. Fanno parte del paesaggio anche
le tracce labili, come il solco del passaggio di un
animale nell'erba, le zone di abbeveraggio lungo un
fiume, la traccia di una carovana o l'impronta dei
pneumatici: segni determinati dall'uso, e permanenti in
funzione di esso; capaci di consolidarsi e divenire più
netti per l'iterazione del gesto, ma capaci anche di
sparire dopo una pioggia, o semplicemente di annullarsi
per decadimento dell'uso. Così come fanno parte
integrante del concetto di paesaggio i toponimi, spesso
documenti dell'uso del suolo o del suo assetto
patrimoniale, ma comun-que ancorati al luogo per la loro
stessa capacità di racchiuderne ed evocarne in un suo-
no l'immagine globale. L'uso rappresenta quindi ciò che
sottende ogni concetto di pae- saggio, la trama del
tessuto. Se noi ci soffermiamo sugli usi, non riusciamo
a cogliere l'im- magine globale; e tuttavia il
considerarli è come guardare i fili che si intrecciano
sul rove- scio di un broccato, da cui possiamo
riconoscere i materiali, i colori, i rapporti di
disegno: ma per capire e interpretare il disegno,
dobbiamo forzatamente girare il tessuto al diritto.
5.
Il paesaggio è comunicazione di eventi storici,
perché conserva nei suoi elementi le tracce degli
eventi, tanto naturali che antropici, che su di esso si
sono prodotti. Il testo paesaggio permette di leggere
l'organizzazione economica, l'assetto sociale, la
struttura- zione del potere esercitato sul territorio.
Le tracce delle vicende possono essere distinte e
indagate secondo le categorie tradizionali della
geologia, della geografia, dell'archeolo- gia,
dell'architettura, e di quante altre discipline si
voglia. Ogni disciplina è in grado di ri- conoscere e
classificare i segni secondo propri codici, e di dare di
conseguenza una delle possibili letture del testo
paesistico; nessuna tuttavia riesce a darne una lettura
globale, anzi il tentativo, dall'interno di esse, di
volerci arrivare ha prodotto la perdita di senso del- le
stesse categorie interpretative, divenute
onnicomprensive. E' il caso per esempio dell'ar-
chitettura, dove il concetto di "monumento" come
emergenza della storia, esteso a qua- lunque oggetto in
quanto portatore di informazioni storiche, ha fatto
perdere il signi- ficato stesso che sta nell'etimologia
del termine ed ha creato la confusione di uno storici-
smo immobilista.
In questo contesto
si colloca oggi il dibattito sul paesaggio, che ha al
suo centro la di- scussione stessa sul concetto di
trasformazione, e quindi sull'attività progettuale.
Progetta- re, cioè introdurre in questo testo nuove
parole, vuol dire intervenire sulla materia del tes-
suto. Tornando a questo paragone allora, che mi pare il
più calzante, possiamo conside- rare il territorio come
una veste di tessuto prezioso, passata in eredità da una
generazio- ne all'altra; su questa si può dover
intervenire per tre diversi motivi:
- per
adattarla alla propria taglia, cioè per adeguarla alle
necessità vitali: ma nessuno si sognerebbe di farla a
pezzi, ma piuttosto di scucire e ricucire, di adattare e
ridefinire la forma rispettando il più possibile il
tessuto;
- per irrobustire e sostenere le zone consunte,
intervenendo "sul rovescio" a riannodare i fili, a
rammendare gli strappi in modo che ne scapiti il meno
possibile l'integrità del dise-gno sul diritto;
- per aumentarne il pregio, aggiungendo altre
trine e tessuti, ricami, pietre preziose.
Fuori metafora, il
progetto si deve definire in rapporto a queste tre
possibili opzioni sulla base della qualità del tessuto
paesistico su cui si interviene, adeguandosi alla
necessità di ridefinire, di riqualificare o di
arricchire l'ambiente globale; è questo allora il
contenuto della preservazione, la corretta manutenzione
da un lato e dall'altro il buon investimento, per
conservare e aggiungere valore al bene territorio. Per
sapere se il nostro intervento è corretto, non c'è che
la prova del fuoco dell'uso: ad un ambiente fisico viene
a corrispon- dere, in tempi più o meno lunghi, un
ambiente sociale. Basta guardare le nostre periferie
urbane per rendersene conto. La qualità stessa della
vita diventa allora criterio di giudizio sul progetto,
al di là di ogni categoria di valore (estetico, storico,
biologico o quant'altro) propugnata dalle singole
scuole.
Ma entrare in una
logica progettuale, in una logica di costruzione del
paesaggio, signi- fica allora capire gli equilibri in
movimento per inserirsi in un processo evolutivo, in una
prospettiva di mutazione che non è mai negazione della
storia ma pregnante assunzione del proprio patrimonio
genetico per aprire nuove prospettive di evoluzione.
Il discorso
rimbalza nuovamente dal paesaggio all'architettura: alla
logica cioè di pro- getto e inserimento di ciascun
elemento, di ciascun tassello che va continuamente a
ride- finire l'immagine del territorio. Ogni nuovo
oggetto che noi introduciamo non rappresen- ta un
completamento, bensì una nuova chiave di lettura di
tutto il contesto; dobbiamo perciò diffidare di ogni
teoria che, sotto qualunque forma possa essere truccata
per sem- brare nuova, ci riconduca negli ambiti superati
e sterili degli stilemi, della tipizzazione, del- la
riproposizione cioè del guscio vuoto di un organismo già
morto. L'animale vivo costrui- sce attorno a sé, giorno
per giorno, la sua conchiglia seguendo una logica
geometrica costante che pure ogni giorno deve adattare
alla sua nuova dimensione; allo stesso mo- do il fare
progettuale deve nascere dall'interno, non dall'esterno,
e costruire l'oggetto a partire dal costante rinnovarsi
della propria vita. Il tanto invocato
genius loci,
anima vi- tale che si perpetua attraverso la storia,
viene troppo spesso confuso nella nostra sotto-
cultura del supermercato col genio della lampada, che ci
offre soluzioni istantanee e pro- dotte in serie per
qualunque problema, evitandoci di dover pensare e
soffrire troppo il parto progettuale.
In conclusione, il
paesaggio va sottratto alla concezione di fatto
artistico come pura espressione estetica di una società;
esso deve esprimere la qualità della vita, e credo che
la scarsa qualità dei paesaggi che abbiamo costruito
debba farci se mai riflettere sul fat- to che, ad onta
della tecnologia impiegata e delle risorse consumate, la
qualità del no- stro quotidiano è
ampiamente insufficiente. Il paesaggio attuale non fa
che riflettere que- sto squilibrio; ben venga la
demolizione dei mostri edilizi, ma con cosa li
sostituiremo? Lasceremo il vuoto o ci nasconderemo
nell'anonimato? O avremo il coraggio di provare a
immaginarci un futuro?
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Anche quando la
tipologia edilizia e il rapporto dimensionale sono
simili, il paesaggio delle nuove costruzioni si
differenzia da quello tradizionale per il diverso
rapporto con gli altri segni fondanti - le
infrastrutture, il supporto naturale del terreno.
A sinistra:
Segni lineari orizzontali di diversa intensità: traccia,
pista, autostrada
A destra:
Segno verticale: traliccio
I nuovi segni
differiscono da quelli storici per la diversa scala
dimensionale e per il forte rapporto con gli elementi
organizzativi a scala territoriale. Segni di intensità
analoga, capaci cioè di organizzare un paesaggio a vasta
scala, sono riscontrabili nel paesaggio tradizionale
solo nelle infrastrutturazioni agricole o negli impianti
urbani pianificati
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