FLAMINIA MONTANARI

 

    PAESAGGIO POSSIBILE     

 

 

 

 

 

 

 

Si parla ormai dappertutto di restaurare il paesaggio. Ma non è chiaro che cosa ciascuno intenda definire con questa locuzione: ognuno at- tribuisce all'espressione un significato che dipende dalla sua stessa con- cezione di paesaggio, e lo stesso termine restauro induce a pensare che si possa in qualche modo invertire la freccia del tempo e tornare ad uno stato anteriore di integrità e di armonia.  Ma a quale stato, se il paesaggio ha come caratteristica proprio la sua continua trasforma- zione?

E' allora utile forse piuttosto applicare al paesaggio il concetto di pre- servazione, che non contrasta con una visione dinamica ma che impli- ca la considerazione e valutazione della consistenza e qualità del patri- monio territoriale nelle scelte di trasformazione che esso forzatamente implica. Non si tratta allora di impedire le modificazioni, a vantaggio della mummificazione di un'immagine, quanto di valutare le possibili trasformazioni per così dire "dall'interno" del sistema territoriale e della sua intrinseca logica evolutiva, rispettandone i complessi equilibri.

 Ciò implica che anche l'operatore si  ponga all'interno del sistema; e ci fa scoprire che, in realtà, le vere operazioni che distruggono un paesaggio sono quelle nelle quali una lo- logica economica esterna si sovrappone al territorio, sfruttandone le risorse senza contri- buire a crearne altre. Le risorse territoriali si trasformano cioè in pure risorse finanziarie, e i beni materiali perdono consistenza per divenire beni volatili e virtuali. Un territorio può ap- parentemente così diventare più ricco se lo misuriamo con i parametri dell'economia cor- rente, e risultare di fatto più povero per la perdita di valore intrinseco, e di conseguenza di prospettive di  lungo termine.

Se questa enunciazione può sembrare vaga e arbitraria, possiamo provare a sviluppare qualche ragionamento basandoci sull'analisi del paesaggio come struttura testuale. E' or- mai universalmente acquisito il concetto della lettura del paesaggio come linguaggio, cioè come sistema di elementi significanti. E poiché ogni segno, o parola, di un testo as- sume significato solo nel contesto, cioè in base alle regole che lo relazionano agli altri se- gni, così anche i singoli elementi che compongono il paesaggio possono essere corretta- mente decifrati solo attraverso il loro rapporto con lo spazio e il tempo cui sono ancorati. Non leggo cioè il segno in sé quanto invece, attraverso quella traccia,  la relazione che lo colloca nei rapporti di potere che nel suo tempo si esprimono nel confronto con gli altri segni. Se per esempio considero i segni degli sfruttamenti agrari, questa relazione diven- ta ancora più importante. Prendiamo i muri di terrazzamento di un pendìo: essi ci infor- mano in primo luogo che quel terreno è – o è stato – coltivato; ma solo mettendoli in rapporto con altri elementi come la presenza di un sistema di irrigazione, la vicinanza di abitati aggregati o sparsi, posso capire a quale tipo di sfruttamento agrario o a quale ti- po di organizzazione e gerarchia sociale, a quale stadio di tecnologia facciano riferimen- to. Inoltre elementi di grande organizzazione di questo genere hanno una permanenza – legata ad altri fattori, come per esempio la parcellizzazione della proprietà – che il più  delle volte attraversa i secoli in maniera del tutto disomogenea rispetto alle vicende sto- riche che coinvolgono l'aggregato urbano.

Il paesaggio insomma deve essere affrontato come un sistema complesso, e come tale non è più possibile ricorrere alla vecchia logica della sommatoria di singoli elementi. Mi sembra utile perciò indicare alcuni spunti di riflessione, a partire dai quali si dovrebbe svi- luppare il dibattito sul paesaggio.

 

1. E' necessario abbandonare il concetto estetico ereditato dalle leggi del '39 del pae- saggio come quadro naturale e come spontanea fusione dell'opera dell'uomo e della na- tura. Il paesaggio non é il fondale del teatrino su cui si muovono i burattini della storia;  il territorio infatti è un elemento che entra in gioco spesso se non nella maggior parte dei casi come determinante delle vicende storiche, soprattutto quelle che implicano le mag- giori trasformazioni territoriali – grandi migrazioni, guerre, ecc. Se intendiamo allora il pae- saggio come forma significante del territorio, esso va esplorato a partire dall'organicità  del rapporto popolazione/territorio piuttosto che a partire dai segni.  

2. Il concetto di paesaggio fa comunque capo a un'idea di percezione: anche rifiutan- do un approccio meramente estetico, esso si differenzia da una lettura di tipo prettamen- te geografico, limitata all'organizzazione spaziale. Il paesaggio implica una percezione con tutti i sensi: la macchia mediterranea è tale non solo per la natura dei suoli, le essen- ze vegetazionali, la temperatura che la caratterizzano, ma può essere definita come pae- saggio nell'insieme delle sensazioni – il caldo umido, la luce diffusa, l'odore aromatico e pungente, il frinire dei grilli e delle cicale. Un cieco potrebbe riconoscere il paesaggio an- che senza vederne con gli occhi i singoli profili ed elementi. Il paesaggio è cioè una per- cezione globale dell'ambiente.

3. Il concetto di ambiente è essenzialmente un concetto evolutivo. L'ambiente si trasfor- ma in continuazione, sia ad opera degli agenti naturali che ad opera della presenza u- mana. Anche la sua percezione perciò si trasforma: il paesaggio è in perenne mutazione, ciò che in esso sembra immobile esprime solo un equilibrio determinato da un continuo apporto energetico – il paesaggio terrazzato, per riprendere l'esempio precedente, si mantiene fino a che qualcuno provvede a ripristinare i muretti che cedono; se cessa que- sto apporto ben presto i muretti verranno "riassorbiti" nel pendìo e, attraverso tutta una serie di stadi vegetazionali, il bosco riconquisterà lo spazio. Il paesaggio è perciò perce- zione di un equilibrio dinamico, che nel caso del paesaggio antropizzato è basato sull'ap- porto di lavoro e risorse umane. A sua volta la caratterizzazione del paesaggio dipende dalla leggibilità stessa di questo rapporto: percepiamo come molto caratterizzato un paesaggio il cui equilibrio è instabile (i calanchi, gli scogli battuti dalle onde, le rocce a picco, le dune) oppure ciò che, in una raggiunta apparente stabilità, mostra i segni rico- noscibili di una fase altamente instabile, di trasformazione (le marmitte dei giganti, le mo- rene glaciali, i crateri e i laghi vulcanici, le linee di giacitura delle rocce). Il paesaggio tut- tavia non può essere ridotto in termini di bilanci energetici, come alcune scuole tendono oggi a fare; essi rappresentano una importante chiave di analisi della loro caratterizzazio- ne e un fondamentale strumento progettuale, tuttavia non esauriscono il concetto: il no- stro cieco può riconoscere il paesaggio anche senza questi strumenti.

4. Il paesaggio non è fatto solo di elementi fissi, ma anche di elementi che nascono dal- l'uso e di beni immateriali, di cultura. Fanno parte del paesaggio anche le tracce labili, come il solco del passaggio di un animale nell'erba, le zone di abbeveraggio lungo un fiume, la traccia di una carovana o l'impronta dei pneumatici: segni determinati dall'uso, e permanenti in funzione di esso; capaci di consolidarsi e divenire più netti per l'iterazione del gesto, ma capaci anche di sparire dopo una pioggia, o semplicemente di annullarsi per decadimento dell'uso. Così come fanno parte integrante del concetto di paesaggio i toponimi, spesso documenti dell'uso del suolo o del suo assetto patrimoniale, ma comun-que ancorati al luogo per la loro stessa capacità di racchiuderne ed evocarne in un suo- no l'immagine globale. L'uso rappresenta quindi ciò che sottende ogni concetto di pae- saggio, la trama del tessuto. Se noi ci soffermiamo sugli usi, non riusciamo a cogliere l'im- magine globale; e tuttavia il considerarli è come guardare i fili che si intrecciano sul rove- scio di un broccato, da cui possiamo riconoscere i materiali, i colori, i rapporti di disegno: ma per capire e interpretare il disegno, dobbiamo forzatamente girare il tessuto al diritto.

5. Il paesaggio è comunicazione di eventi storici, perché conserva nei suoi elementi le tracce degli eventi, tanto naturali che antropici, che su di esso si sono prodotti. Il testo paesaggio permette di leggere l'organizzazione economica, l'assetto sociale, la struttura- zione del potere esercitato sul territorio. Le tracce delle vicende possono essere distinte e indagate secondo le categorie tradizionali della geologia, della geografia, dell'archeolo- gia, dell'architettura, e di quante altre discipline si voglia. Ogni disciplina è in grado di ri- conoscere e classificare i segni secondo propri codici, e di dare di conseguenza una delle possibili letture del testo paesistico; nessuna tuttavia riesce a darne una lettura globale, anzi il tentativo, dall'interno di esse, di volerci arrivare ha prodotto la perdita di senso del- le stesse categorie interpretative, divenute onnicomprensive. E' il caso per esempio dell'ar- chitettura, dove il concetto di "monumento" come emergenza della storia, esteso a qua- lunque oggetto in quanto portatore di informazioni storiche, ha fatto perdere il signi- ficato stesso che sta nell'etimologia del termine ed ha creato la confusione di uno storici- smo immobilista.

 

In questo contesto si colloca oggi il dibattito sul paesaggio, che ha al suo centro la di- scussione stessa sul concetto di trasformazione, e quindi sull'attività progettuale. Progetta- re, cioè introdurre in questo testo nuove parole, vuol dire intervenire sulla materia del tes- suto. Tornando a questo paragone allora, che mi pare il più calzante, possiamo conside- rare il territorio come una veste di tessuto prezioso, passata in eredità da una generazio- ne all'altra; su questa si può dover intervenire per tre diversi motivi:

-  per adattarla alla propria taglia, cioè per adeguarla alle necessità vitali: ma nessuno si sognerebbe di farla a pezzi, ma piuttosto di scucire e ricucire, di adattare e ridefinire la forma rispettando il più possibile il tessuto;
  - per irrobustire e sostenere le zone consunte, intervenendo "sul rovescio" a riannodare i fili, a rammendare gli strappi in modo che ne scapiti il meno possibile l'integrità del dise-gno sul diritto;
  -  per aumentarne il pregio, aggiungendo altre trine e tessuti, ricami, pietre preziose.

 

Fuori metafora, il progetto si deve definire in rapporto a queste tre possibili opzioni sulla base della qualità del tessuto paesistico su cui si interviene, adeguandosi alla necessità di ridefinire, di riqualificare o di arricchire l'ambiente globale; è questo allora il contenuto della preservazione, la corretta manutenzione da un lato e dall'altro il buon investimento, per conservare e aggiungere valore al bene territorio. Per sapere se il nostro intervento è corretto, non c'è che la prova del fuoco dell'uso: ad un ambiente fisico viene a corrispon- dere, in tempi più o meno lunghi, un ambiente sociale. Basta guardare le nostre periferie urbane per rendersene conto. La qualità stessa della vita diventa allora criterio di giudizio sul progetto, al di là di ogni categoria di valore (estetico, storico, biologico o quant'altro) propugnata dalle singole scuole.

Ma entrare in una logica progettuale, in una logica di costruzione del paesaggio, signi- fica allora capire gli equilibri in movimento per inserirsi in un processo evolutivo, in una prospettiva di mutazione che non è mai negazione della storia ma pregnante assunzione del proprio patrimonio genetico per aprire nuove prospettive di evoluzione.

Il discorso rimbalza nuovamente dal paesaggio all'architettura: alla logica cioè di pro- getto e inserimento di ciascun elemento, di ciascun tassello che va continuamente a ride- finire l'immagine del territorio. Ogni nuovo oggetto che noi introduciamo non rappresen- ta un completamento, bensì una nuova chiave di lettura di tutto il contesto; dobbiamo perciò diffidare di ogni teoria che, sotto qualunque forma possa essere truccata per sem- brare nuova, ci riconduca negli ambiti superati e sterili degli stilemi, della tipizzazione, del- la riproposizione cioè del guscio vuoto di un organismo già morto. L'animale vivo costrui- sce attorno a sé, giorno per giorno, la sua conchiglia seguendo una logica geometrica costante che pure ogni giorno deve adattare alla sua nuova dimensione; allo stesso mo- do il fare progettuale deve nascere dall'interno, non dall'esterno, e costruire l'oggetto a partire dal costante rinnovarsi della propria vita. Il tanto invocato genius loci, anima vi- tale che si perpetua attraverso la storia, viene troppo spesso confuso nella nostra sotto- cultura del supermercato col genio della lampada, che ci offre soluzioni istantanee e pro- dotte in serie per qualunque problema, evitandoci di dover pensare e soffrire troppo il parto progettuale.

In conclusione, il paesaggio va sottratto alla concezione di fatto artistico come pura espressione estetica di una società; esso deve esprimere la qualità della vita, e credo che la scarsa qualità dei paesaggi che abbiamo costruito debba farci se mai riflettere sul fat- to che, ad onta della tecnologia impiegata e delle risorse consumate, la qualità del no- stro quotidiano è ampiamente insufficiente. Il paesaggio attuale non fa che riflettere que- sto squilibrio; ben venga la demolizione dei mostri edilizi, ma con cosa li sostituiremo? Lasceremo il vuoto o ci nasconderemo nell'anonimato? O avremo il coraggio di provare a immaginarci un futuro?

 


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Anche quando la tipologia edilizia e il rapporto dimensionale sono simili, il paesaggio delle nuove costruzioni si differenzia da quello tradizionale per il diverso rapporto con gli altri segni fondanti - le infrastrutture, il supporto naturale del terreno.

 

      

A sinistra: Segni lineari orizzontali di diversa intensità: traccia, pista, autostrada

A destra: Segno verticale: traliccio

 

     

I nuovi segni differiscono da quelli storici per la diversa scala dimensionale e per il forte rapporto con gli elementi organizzativi a scala territoriale. Segni di intensità analoga, capaci cioè di organizzare un paesaggio a vasta scala, sono riscontrabili nel paesaggio tradizionale solo nelle infrastrutturazioni agricole o negli impianti urbani pianificati